Dopo il successo dello scorso anno di “Memorie di un pazzo” il regista Levan Tsuladze, direttore del Marjanishvili Kote State Drama Theatre di Tbilisi, è tornato a collaborare con ERT (Emilia Romagna Teatri) allestendo una prima assoluta, “La Tartaruga”, andata in scena all’Arena del Sole di Bologna. In questa pièce il regista georgiano si confronta con uno dei più grandi drammaturghi italiani, Luigi Pirandello, ma non lo fa andando a pescare nella vastissima produzione teatrale, bensì prediligendo al drammaturgo il narratore, e prendendo spunto da una brevissima novella dal titolo, appunto, “La tartaruga”, incentrata sulle vicende della famiglia Myshkow, la cui routine viene sconvolta dall’arrivo in casa di una tartaruga, regalata da un amico a mister Myshkow come simbolo della fortuna.
La prima parte dello spettacolo è molto lenta e risulta anche un po’ debole: si assiste alla performance muta di Mister Myshkow (Giovanni Franzoni) che, in un gioco di movimenti solitario e silenzioso, si trova imbrigliato nell’incapacità di calzare un paio di scarpe; sul palco ce ne sono moltissime, ma i gesti goffi e impacciati del protagonista gli impediscono di indossarle. La metafora è presto detta, il gesto assume senso e connota il personaggio, un uomo che non sta a suo agio nei suoi panni, che sparisce dentro gli abiti che indossa: l’’allegoria tipica pirandelliana dell’uomo che sente di non essere nessuno, di contare poco nel turbinio della vita che scorre, che si vede vivere e, esaminandosi dall’esterno, sente un grande senso di angoscia e di solitudine.
Ma subito subentrano in scena elementi e personaggi che danno ritmo, vitalità e allegria al racconto, dilatato dal regista non attraverso le parole, bensì attraverso l’azione, con sketch divertenti e ironici, musiche allegre e con un gioco rocambolesco di entrate e uscite di scena, rese ridondanti dalle numerose porte della scenografia che rappresenta l’interno dell’abitazione. Incontriamo così tutti i personaggi: l’algida e impenetrabile moglie del protagonista (Giulia Cailotto), l’esuberante cameriera (Roberta De Stefano) che amoreggia con il macellaio (Michele Marinello) che, insieme al maggiordomo Massimo Scola, danno vita a una serie di gag divertenti ed esilaranti che ricordano il cinema muto anni ‘30, epoca nella quale, peraltro, è ambientata la pièce, scritta da Pirandello nel 1936. Ne emerge un quadro grottesco nel quale è inserita la critica alla borghesia con le sue etichette, le ipocrisie e i rancori inespressi.
In tutto questo frastuono di musiche, danze, siparietti comici e andirivieni di personaggi vengono un po’ offuscati i temi principali che la novella intende perseguire e che Tsuladze, cerca di far emergere, ma con poco rilievo rispetto al resto della messa in scena. Dell’amore ci parlerà una disillusa Miss Myshkow, annoiata dalla vita e imprigionata nel suo status, ella sente che l’amore è qualcosa di labile, che si perde nell’aria, di intangibile, al quale è impossibile credere. Solo silenzio e solitudine dunque nella vita di questa coppia dove il tempo scorre lento e viene scandito dal ticchettio del pendolo. Ma a rompere questa routine ci penserà la tartaruga, il rugoso e corazzato animale regalato a Mister Myshkow da un amico come porta fortuna che romperà gli equilibri della famiglia portando il protagonista a scegliere, per una volta, il suo destino e a rinunciare a una vita di apparente serena. E non importa se è irriso e dileggiato, proprio come avviene simbolicamente sul palco quando tutti i protagonisti gli lanciano addosso dei vestiti, perché lui riuscirà a scrollarli di dosso, riuscirà a liberarsi del peso opprimente delle consuetudini e troverà la sua felicità, un sentimento sì labile, sì sfuggente, sì egoistico ma che fa venire voglia di danzare.