Fino al 27 novembre 2016 al Teatro ‘Parioli – Peppino De Filippo’ va in scena ‘Natale in casa Cupiello’ commedia di Eduardo De Filippo. Insieme a Luigi De Filippo (Luca Cupiello) che firma altresì la regia, i protagonisti della commedia sono Stefania Ventura (la moglie Concetta), Vincenzo De Luca (il figlio Tommasino), Claudia Balsamo (la figlia Ninuccia), Paolo Pietrantonio(il genero Nicolino), Massimo Pagano (il fratello), Ferdinando Maddaloni (Vittorio, amante della figlia), Michele Sibilio (il portiere) e Luca Negroni (il dottore).
Ci sono epoche tormentate dense di avvenimenti tragici e di fermenti nuovi a lungo silenti. Ci sono opere dell’ingegno che i testimoni di quelle stagioni hanno lasciato a futura memoria, artefici illuminati e inconsapevoli di quel seme tracciato che sarebbe divenuto nel tempo paradigma significativo della cultura e della drammaturgia contemporanea. ‘Natale in casa Cupiello’ di Eduardo De Filippo è considerato a buon diritto uno dei capolavori indiscussi del Novecento italiano. Commedia giovanile concepita nel 1931 fra le due grandi guerre come atto unico, assunse la definitiva stesura dei tre atti negli anni seguenti. Siamo in pieno periodo fascista e l’Italia delle manifestazioni di regime contrasta con le indigenti condizioni in cui versano le famiglie italiane. La storia è nota. Luca Cupiello è un uomo solitario, semplice, mite, un po’ scorbutico, avanti negli anni. Vive insieme alla moglie Concetta, donna di casa tuttofare, apprensiva e brontolona, al figlio Tommasino, fannullone e mano lesta, pupone di mamma, con un disinteresse verso il presepe che è quasi avversione, e al fratello Pasqualino, uno scapolo indolente e parassita, a pensione sotto lo stesso tetto.
L’altra figlia, Ninuccia, è sposata con Nicolino, rozzo uomo d’affari. Il matrimonio è in crisi a causa delle incomprensioni e delle continue liti col marito che l’hanno ormai convinta ad abbandonare il tetto coniugale per l’amante Vittorio, un damerino a suo modo colto e raffinato. Luca appartiene al mondo della borghesia popolare che si accontenta di poco e non fa notizia. Per lui le tradizioni sono sacre e vanno rispettate senza troppe domande, contro ogni tentazione blasfema. Il Natale è la madre di tutte le ricorrenze, è il simbolo della pace e della famiglia unita, come il presepe, icona della natività, è il rifugio dagli eccessi e dalla aggressività che si muove intorno a lui. È l’antivigilia della solennità più importante per un cristiano e attesa da ogni persona che invoca la serenità dello spirito. Come tutti gli anni Luca è intento alla costruzione del suo passatempo preferito, si pensa al pranzo di Natale. I preparativi vengono interrotti e poi guastati dall’arrivo di Ninuccia che confida alla madre i propositi della separazione. Luca è escluso dal ‘cinguettio’ fra le due donne ma quando Concetta viene colta da malore e sviene, la lettera di addio che la giovane donna aveva indirizzato al marito viene persa e raccolta poi da Luca. All’oscuro del contenuto e del dramma familiare che si sta consumando, il poveruomo la consegna al genero, legittimo destinatario. È un disastro di Natale in cui accade tutto ciò che è contrario al messaggio evangelico. Lo scontro tra i rivali, l’allontanamento di Nicolino e il sopraggiunto ictus di Luca, stordito da quella amara sorpresa che la sua buona fede non aveva considerato e che il suo candore non poteva concepire. Le battute fra Tommasino e lo zio che lo accusa di avergli preso le scarpe mentre era costretto a letto dalla febbre, fanno parte della aneddotica di questa commedia, come le espressioni di vittimismo del primo o i contrasti da sceneggiata fra Luca e Concetta. E che dire della ‘gamba nervosa’ di Nennillo, delle premonitorie difficoltà motorie di Luca, degli sfottò sul presepe dell’amante Vittorio? Un quadro fantasmagorico e autentico della Napoli di sempre. Luca vive al di fuori della cruda realtà che lo circonda, ne risulta estraneo, emarginato dagli altri componenti la famiglia. È un antieroe cechoviano. Non comprende i gravi problemi dei figli, è incapace di dialogare con loro. Appartiene ad un mondo superato e quando scoprirà la verità, ne verrà travolto. Il significato metateatrale che Eduardo attribuisce al presepe ha il valore di un’intuizione prodigiosa che matura e si celebra nell’esaltazione subliminale che chiude l’opera. Da evasione solitaria e maniacale di Luca, diviene isola felice e fuga dalla realtà ostile, regno della fantasia e dell’illusione che propiziano il miracolo. Luca perderà la ragione e nel delirio delle allucinazioni terminali saranno alla fine proprio gli affetti e i buoni sentimenti a prevalere. La forza del paradosso e dell’equivoco riusciranno a vincere sull’ipocrisia e sul conformismo della ragione, favorendo il perdono e la riconciliazione. Mentre la vita scivola via, la benedizione che discende sui due amanti ha il sapore un po’ amaro ed illusorio della contrizione, della pace ritrovata e della ricomposizione familiare. L’accettazione di Nennillo al presepe non è una capitolazione ma la consapevolezza finalmente raggiunta, il più bel regalo di Natale che Luca Cupiello potesse ricevere. Infinite le chiavi di lettura che il testo racchiude, esemplare per semplicità di schemi e modernità sorprendente.
‘Natale in casa Cupiello’ è un affresco ridicolo e tragico, una allegoria efficace e contrastante delle miserie e del male di vivere, dell’arte di arrangiarsi, dell’incomunicabilità, delle lotte quotidiane fra classi e fra poveri diavoli, dei soprusi e delle ingiustizie che soffocano l’umanità da quando esiste l’uomo. Ma è anche l’elogio e il riscatto dei buoni sentimenti sulla rassegnazione, della speranza che i re magi, sbeffeggiati e derisi nei secoli dei secoli, alimentano. Sono loro, metafora degli ultimi, che inseguono ad ogni costo la luce della stella, al di là delle tenebre del male. ‘Natale in casa Cupiello’ ha in sé il fascino misterioso e spirituale del Santo Graal che dopo tante peripezie e alla fine della vita terrena, ogni uomo spera di avere intimamente trovato. È un’elegia farsesca che ha in sé la imprevedibilità del miracolo e per questo rapisce.
Luigi De Filippo fornisce di Luca un’interpretazione da attore d’altri tempi, un gigante della scena, elegante e misurato. Rinnova i fasti della commedia e ne ammoderna la sceneggiatura, sostenuta da ritmi più serrati. Tutti all’altezza del compito i protagonisti. Stefania Ventura è Concetta, donna onesta e verace, prende su di sé finché può tutti i guai di famiglia con apparente fermezza, e per il quieto vivere. Una prova maiuscola, da attrice versatile e matura. Vincenzo De Luca è uno scoppiettante Tommasino(Nennillo), esilarante macchietta di guaglione scavezzacollo che diventa uomo. Claudia Balsamo è una struggente Ninuccia, tormentata moglie e appassionata amante. Massimo Pagano è un convincente Pasqualino, scapolo collerico e grottesco esempio di inutilità, bersaglio preferito di Nennillo. Paolo Pietrantonio e Ferdinando Maddaloni sono rispettivamente Nicolino e Vittorio, marito e amante di Ninuccia. Il primo è un commerciante arricchitosi, pieno di sé, membro della borghesia emergente, il secondo è speculare al rivale, meno benestante ma dai modi più raffinati. Entrambi danno ai personaggi la giusta sostanza. Michele Sibilio è Raffaele, il portiere dello stabile, disponibile al bisogno e ficcanaso comunque. Infine Luca Negroni è il premuroso dottore. Introduce la vicenda e la chiude mestamente, sempre con arguzia ed accurato stile.
Per la prima volta, dopo l’autore, nella storia della celebre dinastia dei De Filippo, un altro rappresentante, epigono della illustre famiglia, ripropone quella che rimane, a distanza di oltre ottant’anni, la più famosa commedia del teatro di tradizione nel nostro paese. Luigi, nipote del grande Eduardo, mette mano ad un reliquia preziosa e la fa rivivere. Il suo intento è quello di togliere dalla soffitta del dimenticatoio un’opera che avverte ormai sbiadita, consunta dalla polvere del tempo. Il ’Natale’ di Luigi mantiene l’anima originale. Non risveglia nello spettatore confronti anacronistici e insostenibili. Il volto scavato e sofferente di Eduardo, lo sguardo sornione e impenitente di Luca De Filippo, l’intensità espressiva di Pupella Maggio, per citare solo alcuni dei grandi del passato, appartengono alla storia immortale del Teatro. Luigi De Filippo propone il suo ‘Natale’ con rinnovata freschezza, a chi, in età giovanile, si era inebriato di tanta sapienza ma soprattutto lo consegna alle nuove generazioni, ignare e disorientate da un vuoto di cultura che improvvisati intrattenitori hanno contribuito a diffondere. Il Teatro di prosa è fatto di leggerezza, comunica emozioni e induce riflessioni e interrogativi rigeneranti. Per non morire di inedia, il Teatro, come la commedia dell’arte, va raccontato in modo intelligente e con strumenti intelligibili, rappresentandolo qual è, nella sua luce naturale, sfrondandolo di significati concettosi e sottraendolo all’insegnamento nefasto di educatori tetri ed annoianti. Non può essere imposto perché è godibile giocosità che allena le menti. È questo il richiamo di attenzione che Luigi De Filippo, giovane e visionario artista ultraottuagenario, rivolge al suo pubblico con un inedito ‘progetto di Natale’ e, consapevole di una frattura dolorosa da guarire in fretta, sorretto da indomita speranza, guarda al futuro.