“Piccola Antigone e Cara Medea” del Kismet è davvero uno spettacolo che vive della fusione tra due personalità: quella del drammaturgo, Antonio Tarantino, e quella di Teresa Ludovico, regista ed interprete di questo lavoro, completato in scena dalla presenza di Vito Carbonara. I due atti unici ideati da Tarantino vengono “cuciti” dalla Ludovico nella forma di un unico testo, legato da cinque “intermezzi tragici” che la regista estrapola sempre dalla produzione del drammaturgo trentino, torinese d’adozione.
C’è in effetti alla base dello spettacolo una conoscenza profonda dell’opera, delle motivazioni e persino della persona dell’autore. L’incontro con la scrittura di Tarantino risale agli anni ’80 ed ha avuto per la Ludovico i crismi della folgorazione, tanto da innescare l’inizio di un rapporto di scena prolungato, cadenzato da incontri, letture sceniche ed allestimenti completi prodotti negli anni dal Kismet.
Ma la fusione a cui si alludeva in apertura di articolo poggia fortemente sul contributo scenico prestato da Teresa Ludovico sotto vari fronti. Innanzi tutto il ritmo sostenuto della recitazione con cui l’attrice porge il testo, provvedendo ad una chiave sia stilistica che interpretativa dello stesso. La performance viene così sottratta ad ogni tentazione di lettura realistica, psicologica o drammatica, esaltando per contro la miscela grottesca che si alligna nelle sue maglie. Ci sono poi i brani musicali -ora fatui, ora più graffianti- che la regista utilizza per incorniciare i diversi quadri e che va a riempire in qualità di performer con piccole partiture gestografiche o danze auto-ironiche. Queste, al di là del loro peso coreutico, valgono ad inscrivere la musica nella temporalità dello spettacolo (diventano ovvero delle scene vere e proprie, al pari dei momenti parlati e recitati).
Il linguaggio complessivo viene così ad assumere la consistenza di un impasto intenzionalmente contrastivo, diremo “agrodolce”, che ricorda la struttura del cabaret per toni e composizione: i momenti musicali si intarsiano nell’impaginazione drammaturgica alla stregua di sketch senza parole, trovando completamento con gli intermezzi recitati da Vito Carbonara a metà spettacolo, ed i due atti unici vengono inglobati in una successione di quadri, dove ognuno spezza l’emotività ed il protagonismo dell’altro, finendo per apparire come nulla più dei numeri principali di un varietà dalle tinte originali.
In questo modo, ciò che resta delle due eroine tragiche rivisitate da Antonio Tarantino (Antigone è una prostituta disincantata e Medea una profuga cecena) viene dissacrato una seconda volta per effetto della resa scenica disegnata da Teresa Ludovico. Si tratta naturalmente di una dissacrazione pianificata e perseguita con fini artistici costruttivi: ogni patina di eroismo dei personaggi viene rimossa e riempita dalla fallace umanità delle loro persone, la cui sofferenza e resistenza caparbia non viene irrisa da una comicità dominante nel primo quadro, più controllata ed amara nel secondo.
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“Piccola Antigone e Cara Medea”
con Teresa Ludovico e Vito Carbonara
Testo: Antonio Tarantino
Regia: Teresa Ludovico
Produzione: Teatro Kismet OperA (Bari)