Regia Fabio Banfo e Serena Piazza
Con Monica Faggiani e Debora Mancini
Scene e costumi Serena Piazza
Disegno luci Fabio Banfo
Produzione EFFETTO MORGANA
Testo finalista del premio “Per Voce Sola 2014”, Teatro della Tosse di Genova
4 novembre – 10 novembre 2016 | Residenza Urbana Progetto TLLT
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Due figure evanescenti, un pianoforte che suona canzonette, una piccola carrozzina di un’altra epoca: lo spettacolo si svolge in una soffitta buia e polverosa, dove vecchi oggetti, testimoni di un’epoca passata, sono abbandonati con noncuranza. Qui, circondate da un’atmosfera gotica, due presenze femminili si raccontano l’un l’altra, senza mai incontrarsi veramente: siamo nell’inconscio di una donna, nella sua parte più oscura e irraggiungibile, sede delle pulsioni più incontrollabili e spesso spaventose e non a caso è proprio la soffitta il luogo per eccellenza a rappresentarlo.
Le tematiche toccate sono infatti difficili: l’incomprensione, la colpa, la repressione, la sessualità, l’incesto, con una buona dose di voyeurismo che mira sostanzialmente a turbare l’osservatore.
Il racconto è frammentato da due voci e si snoda in un’oscillazione continua tra passato e presente, come nella storia di intrusione reciproca nell’intimità che avviene con il padre.
La protagonista è una mente distruttiva che in un vortice di eros e thanatos uccide tutte le persone che la amano: lei, vittima del suo narcisismo, sembra amare solo se stessa, sia nella sua proiezione interiore più inconscia (la donna spaventapasseri in soffitta) che nella sua proiezione esterna, ovvero Gesù, la più grande vittima dell’umanità.
La donna nella sua storia ribalta tutti i canoni di una femminilità socialmente accettabile e “sana”, anche soprattutto nel ruolo di madre, diventando l’assassina di un figlio a cui impedisce di nascere, risvegliando così la pulsione inconscia di ogni donna di uccidere il frutto del proprio grembo quando è ancora inerme e innocente.
Fiumi di sangue sgorgano in questo spettacolo, un sangue che è sia vita che morte, contagio e cura, sacrificio e ingiustizia, fertilità e sterilità: il sangue mestruale, il sangue degli assassinati, della nascita di un bambino ormai morto, di Gesù in croce, delle compagne di collegio che graffiano la sua pelle nella doccia.
La donna, infine rimasta sola, incolpa se stessa non avendo più nessun altro, ormai folle, incerta su cosa sia verità e cosa immaginazione, distrutta in un vortice di incertezza e ambiguità, dove forse riuscirà finalmente ad avere un dialogo interiore tra le sue parti inconciliabili, nella pace del silenzio.
Come Ophelia la protagonista entra in un vortice di follia causato dal suo stesso amore per persone forse troppo deboli, forse troppo prepotenti, che non la capiranno mai.
Come Lady Macbeth si macchia di nefandezze sempre più orrende per arrivare a un fine egoistico che alla fine dimenticherà, ma finirá per distruggerla.
Lo spettacolo mette in scena una femminilità nevrotica che forse per tutta la vita non ha cercato altro che essere ascoltata, anche nei suoi lati più oscuri. Sarebbe stato di grande interesse anche analizzare i motivi che hanno portato questa donna a una tale scissione, ma lo spettacolo decide consapevolmente di concentrarsi principalmente sulle conseguenze di questi traumi.
Due donne che dialogano e non sono che i due lati di una sola, i lati più oscuri di un essere umano che è terribilmente complicato, come ognuno di noi, e quindi sempre ambiguo e difficilmente decifrabile.
Un viaggio dentro le profondità più oscure della mente, dal quale probabilmente si uscirà scossi, ma sicuramente, ed è questo il risvolto più interessante, arricchiti di nuovi interrogativi e spunti sulla natura dell’anima umana.
Complimenti alla regia di Fabio Banfo e Serena Piazza, all’interpretazione di Monica Faggiani e Debora Mancini, alle evocative scene e costumi di Serena Piazza, al disegno e luci Fabio Banfo, alle foto di Luigi Guaineri.