di Giovanni Testori
con Michele Maccagno
regia Gigi Dall’Aglio
musiche composte ed eseguite dal vivo da Emanuele Nidi
produzione Teatro de Gli Incamminati – Riff Raff Teatro
in collaborazione con Casa Testori
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Milano in questi anni sta cambiando la propria identità, si sta aprendo al mondo e sta cercando una dimensione metropolitana. In questo dinamismo diventa ancor più interessante il desiderio di confrontarsi con un autore che della ricerca e della contaminazione ha fatto il suo tratto distintivo. Giovanni Testori parte dalla propria identità, dalla propria storia, di cui Milano è sempre stato il centro, per creare commistioni con diversi generi e suoni e porta alla luce una nuova lingua e nuovi suoni, derivati da un dialetto che non si usa più, ma che assorbe i francesismi e i modi di dire che ci rimandano ad un ascolto diverso, profondo, di attesa.
SdisOrè ripercorre la strada della riscrittura delle grandi tragedie, già sperimentata da Testori con Ambleto, Macbetto e Edipus. L’Orestea di Eschilo diventa materia plasmabile da reinventare radicalmente, per affidare ad un narratore monologante il tormento di Oreste, le voci e i corpi di Clitemnestra, Egisto e Elettra. Centro del testo è la parola incarnata che genera ogni volta una lingua nuova, dove il dialetto lombardo è solo il polo d’attrazione al quale si legano lingue vive e inventate (francese, spagnolo, inglese, latino). Un solo attore in scena dà vita a tutti i personaggi, ma continua a fermarsi per far emergere la sua storia, perché solo partendo dalla nostra identità si può far emergere quella altrui. Oreste torna a casa per vendicare il padre Agamennone, ucciso da Clitemnestra e dal suo nuovo “ganzo”, Egisto, che ora ne usurpa il trono. Accompagnato dall’amico Pilade, trova ad attenderlo alla tomba di Agamennone la sorella Elettra. Ancora una volta Testori sposta il contesto della tragedia: dalla reggia degli atridi siamo calati nel cuore della provincia Milanese, suo amato paesaggio natale. Da qui discende una tragedia “un po’ da stalla” – come lo definì lo stesso autore – molto cruenta, ma anche divertente e comica per l’espressività del linguaggio. L’intreccio è lo stesso della tragedia eschilea fino a virare bruscamente poco dopo la metà: «per questo lo chiamo SdisOrè, perché la negazione si fa totale». Dopo l’assassinio, perde il coraggio e dice «in due mi divisco»: l’eroe quindi rinuncia alla giustizia civile, all’assoluzione di Atena e dei cittadini e mentre la voce di Oreste lentamente sfuma in quella dell’autore, lo spettacolo finisce nella ricerca di una coscienza comune, nell’attesa di un perdono.
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Il testo
SdisOrè è l’estremo omaggio di Testori alla carità salvifica. Omaggio che acquista ancora maggior valore dalla diversità profonda tra la riproposizione e il modello offerto dalla tradizione tragica. L’eroe portatore della carità che salverà il mondo ha qui tanto più efficacia di esempio in quanto oltre che staccarsi dalla massa corrotta e degradata dell’umanità, in modo da vederne il marcio e cercare rimedio, si distacca in modo provocatorio da secoli di tradizione, tanto da rinunciare al suo nome e alla sua identità mitica. Questo è quello che accade allo scarrozzante-Oreste alla fine del suo monologo drammatico: il filo della vendetta, dopo essere stato teso nel corso del dramma con l’aiuto dell’enfasi sulla negatività della figura di Clitemnestra, si spezza improvvisamente mediante l’affidamento ad Oreste, eroe della vendetta per eccellenza, un messaggio di misericordia. Oreste, una volta compiuto il duplice assassinio, si pente rinnegando il «gran macello» in nome di concetti del tutto nuovi che non appartengono al «grechico vucabular»: il perdono e la carità. Il capo della città di Argo chiede ad Oreste di andare in esilio lontano e di rinunciare insieme alla sua terra e ai suoi diritti anche al nome che gli è stato assegnato. SdisOrè rinuncia alla sua tradizionale identità, ma il suo sarà forse un viaggio verso una nuova più vera identità. La «granda e sacra vela» di Oreste prende il largo nel tramonto e si sente nell’aria l’attesa della comparsa del «remador atteso» che sappia condurre l’umanità ad un diverso approdo.
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NOTE DI REGIA
«Invoco te, scrivan o narrator che sei» con queste parole il personaggio di Egisto si rivolge all’autore. Anche in altri monologhi teatrali di Testori con i quali mi sono già misurato (Cleopatràs e Mater Strangosciàs), i personaggi si rivolgevano all’autore, ma la cosa rimaneva nell’ambito di una ludica metateatralità. Si trattava di personaggi in cerca di un autore il cui ruolo, nei loro confronti, si confondeva con quello divino e l’autore restava così, lontano e artefice del suo ironico distacco. Qui al termine scrivan si aggiunge narrator dove però narrator non appare come semplice sinonimo di scrivan dal momento che il narrator è concretamente presente sulla scena ed è proprio lui a dare corpo a quegli stessi personaggi che lo invocano. Nella figura del narratore, i personaggi sono già pertanto presenti, ma lì è anche presente l’autore del cui pensiero il narratore si deve fare pienamente carico.
Il narratore è il corpo dell’autore che rivive materialmente, attraverso di lui, i tormenti, le angosce e le debolezze di una umanità stolta e crudele, ma pur sempre unica e insostituibile. Le rivive come un gioco che pian piano si trasforma in sorpresa per lui e per chi lo ascolta. Una sorpresa culturale già scritta nella mente di chi l’ha scritta e nuova per colui che sulla scena è delegato a scoprirla per noi. Ne viene un gioco a doppia mandata dove colui che ci racconta la storia ne scopre il succo proprio nel momento in cui ce la consegna e, in più, scopre di doverla fare sua perché è di fatto sua anche se lui stesso la sta rendendo pubblica mentre se ne chiarisce gli snodi.
L’autore coincide col narratore, ma per la natura stessa del Teatro, anche l’attore viene a sua volta a coincidere col narratore. In tal modo si presenta come il terzo della gerarchia e deve cercare di “capire” (come solo un corpo in balia del Teatro può capire) le pulsioni, i crucci, i segreti dell’autore per farceli rivivere attraverso il racconto del suo apprendistato esistenziale. L’attore, quindi, giocando con gli arditi funambolismi di una lingua densa, colta, popolare e teatrale, si trova a fare i conti con una materia che ha poi invece, proprio nell’essere raccontata, la sua origine e il suo rendiconto. L’attore/narratore deve dunque mettere in atto tutti gli elementi che lo aiutano a rivivere, nel rapporto rituale ironico e commosso col pubblico, le tappe di un processo che ci porterà lontano. A partire da una struttura di rapporti già consegnateci dalla classicità con le sue brave contraddizioni, sviluppa, nella lucidità dell’analisi, nella partecipazione alle miserie dei personaggi, nella complementarietà dell’elemento musicale, in uno spazio allusivo tra Adda e Ade, un percorso alla disperata ricerca di una soluzione in grado di spostare l’attenzione della nostra esperienza «da un senso ad altro senso». Un viaggio che il narratore auspica nel Teatro e quindi nella coscienza sua e nostra dove ogni volta, ad ogni tappa, ad ogni incontro, «l’istessa mai più serà».
Gigi Dall’Aglio
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ORARIO SPETTACOLI
Giovedì – sabato ore 20.30
Domenica ore 17.00
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PREZZI BIGLIETTI
Biglietto intero 20,00 euro
Ridotto (over 65/under 26) 16,00 euro
Convenzionati 13,00 euro
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DOVE ACQUISTARE
Online su www.vivaticket.it
In tutti i punti vendita Vivaticket
Presso Sala Banterle negli orari di biglietteria: giovedì-sabato 18.00-20.30 / domenica 15.00-17.00
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PRENOTAZIONI
Scrivendo una mail a biglietteria@incamminati.it
Telefonando al numero 3482656879, in orario di apertura biglietteria.
I biglietti prenotati e non ancora pagati devono essere ritirati entro un’ora dall’inizio dello spettacolo.
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CONTATTI
Spazio Banterle (Centro Culturale di Milano – Corsia dei Servi, 4)
M1 (San Babila) – M1, M3 (Duomo)
Bus 54, 60, 61, 73, 84
Tram 15, 23