O la si ama o la si odia. Ha sempre diviso il pubblico fra sostenitori e detrattori, ma non si può negare il talento e l’intelligenza acuta di Sabina Guzzanti, attrice, autrice e comica di razza che torna a teatro con il nuovo spettacolo Come ne venimmo fuori (proiezioni dal futuro), che nel corso di una lunga tournée, è attualmente in scena al Teatro Vittoria di Roma (fino al 18 dicembre).
Senza mai rinunciare alla sua coerenza spesso pagando anche con la censura la sua rivendicazione alla libertà, Sabina Guzzanti tornata miracolosamente in televisione nel Tg Porco del giovedì sera in Piazza Pulita di Corrado Formigli su La 7, ritorna anche a teatro con un one-woman show satirico, che la vede intenta in forma smagliante a scuotere le coscienze degli spettatori (preparati allo spettacolo perché non si va a vedere la Guzzanti se non la si apprezza) attraverso un lungo monologo satirico che intende fare luce sul nostro disastroso presente, triste e feroce al tempo stesso.
Ma come abbiamo fatto a ridurci così?
Se lo chiede e lo spiega alla platea la Guzzanti, bravissima per due ore ininterrotte e senza intervallo a catalizzare l’attenzione del pubblico continuamente sollecitato a usare la materia grigia per seguire il filo logico della ricostruzione proposta (per condividerla o meno). La forza dello spettacolo, con la regia di Giorgio Gallione, le musiche a cura di Paolo Silvestri, la scenografia effetto carta di Guido Fiorato, è proprio il testo, un racconto acuto e ferocissimo della nostra società ormai alla deriva.
L’escamotage di Sabina Guzzanti, che non ha nascosto di essere stata investita di una sorta di inaspettato ottimismo durante la stesura del monologo, è di ambientare il tutto lo spettacolo in un futuro lontano dove si vive in totale armonia e senza essere ossessionati dal consumismo, dal potere e dal denaro. Nei panni di SabnaQf2 chiamata a tenere il discorso delle celebrazioni, la Guzzanti è impegnata a ricordare all’umanità la fine di quello che viene chiaramente definito “secolo di merda” e cioè gli anni che vanno dal 1990 al 2041. La nostra epoca.
Attraverso quella che diventa un’incalzante requisitoria, lucida e mai didascalica, la Guzzanti fa satira politica e di attualità partendo dalle origini dell’economia liberista (con tutte le conseguenze che ha causato) e cercando di analizzare anni in cui siamo stati gettati in preda alla frustrazione, all’ignoranza e alla miseria cui si tenta in qualche modo di sfuggire lasciandoci travolgere da programmi demenziali (visto lo strapotere della De Filippi con i suoi programmi fotocopia) mentre siamo governati da leader (Renzi esattamente come Berlusconi) ideologie che finiscono per rendere gli uomini e le donne incapaci di reagire a qualsiasi tipo di vessazione o ingiustizia forse rintronati dalla nostra ossessione per i social attraverso i quali ci si illude di contare qualcosa.
E se il monologo di Sabina Guzzanti non conosce stanchezza perché riesce sempre a destare l’attenzione del pubblico che purtroppo riconosce la tristezza della nostra società, è anche vero che l’attrice ricorre pochissime volte alle sue straordinarie doti di mimetica imitatrice, proponendo esilaranti fotocopie di Giorgia Meloni, Berlusconi, Renzi, Maria de Filippi o la Marcegaglia ma senza approfittarsene per strappare l’applauso facile.
Il suo obiettivo è ben altro: scuotere le coscienze nella speranza di uscire dalla spirale di omologazione e ferocia cui ci siamo condannati e in cui ci continuiamo a crogiolare con le nostre mani.
“Mi interessava studiare i motivi per cui oggi ci troviamo a vivere in un presente tristissimo e feroce. È stato impegnativo ma anche illuminante perché mi ha consentito di capire come è stato costruito il sistema. Un sistema che è una prigione, per farci credere che sia impossibile evadere. Ma riuscire a rendersene conto, di fatto, vuol già dire esserne fuori. E questa consapevolezza è già una bella forza” ha dichiarato la Guzzanti commentando il suo spettacolo.
Obiettivo pienamente centrato dell’artista: riusciremo a tornare essere umani uscendo dal nostro circolo vizioso e inglorioso? Speriamo. In scena fino al 18 dicembre.