I Motus rileggono frammenti di “Petrolio”, opera postuma di Pier Paolo Pasolini
Pochi elementi scenici, una voce narrante e le parole di uno dei più grandi letterati del Novecento, un visionario, precorritore dei tempi e della storia. “Come un cane senza padrone”, andato in scena al Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno (BO), ideato e diretto da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò della compagnia Motus, segue le tracce di Petrolio, il romanzo incompiuto di Pier Paolo Pasolini.
La voce narrante suadente e profonda di Emanuela Villagrossi, immobile davanti a un leggio ma densa, nella sua presenza fisica, di carisma e sensualità, legge gli appunti dal 58 al 62 dell’opera postuma, rimasta incompiuta, di Pasolini, quelli in cui l’ingegnere Carlo, esponente della buona borghesia anni Settanta, impeccabile dietro il suo doppio petto e dietro le convenzioni che lo governano è costretto, per la prima volta in vita sua, a fare i conti con le sue pulsioni sessuali, con l’esigenza del basso ventre che, preponderate, irrompe nella sua vita valicando ogni controllo. Ad accendere i suoi sensi ci sarà Carmelo, un ragazzo che per vivere fa il facchino e che, al contrario del protagonista, conosce bene gli impulsi sessuali e le regole dell’appagamento del piacere.
Uno sguardo fuggevole, una carezza e una stretta veloce mentre Carmelo infila il cappotto a Carlo, un sospiro che alita sul collo e un foglietto, con un numero di telefono, strumento di tentazione. Quella che però in apparenza sembra una liaison omosessuale, di rivela poi diversa, ribaltando ancora ancora una volta le apparenze, scopriremo presto che dietro le vesti da gentiluomo borghese di Carlo si nasconde una donna, con il seno turgido ed un sesso femminile. La paura, mischiata al desiderio, faranno progressivamente perdere la lucidità di Carlo, che si abbandona alle sue fantasie e si scopre così disposto/a a tutto pur di assaporare la vita per un attimo. Quella vita seducente e ammaliante che lo/a attrae come un magnete.
La scena è cupa e predominata dai tre schermi che campeggiano sul palcoscenico, insieme all’automobile, oggetto simbolico della vita di Pasolini, strumento necessario per perseguire quell’estraniazione tanto ambita che lo portava a vagare, notti intere, tra le strade di quartieri popolari “come un cane senza padrone” come lui stesso si definiva, cercando un fugace momento di piacere. Lo schermo centrale ci regala un infinito piano sequenza, un andare, per le periferie di Roma, uno scorrere continuo, proprio come la vita che va, nonostante tutto va, e prosegue il suo viaggio infinito. Sullo schermo di sinistra invece si vedono Carlo e Carmelo e le loro vicissitudini. Le immagini appaiono sullo schermo sgranate, frammentate, tremolanti e restituiscono solo i momenti salienti del loro incontro che sfocia in un feroce amplesso, denso di brutalità ma con alcune sfumature di tenerezza. Mentre assistiamo allo sfocato susseguirsi delle azioni, i due attori Dany Greggio e Diego Giannettoni, con dei microfoni sottolineano la voce narrante attraverso rumori, sussurri, sospiri di piacere, rafforzando sonoramente l’azione e la narrazione. C’è anche un terzo schermo, pronto a regalare ulteriori suggestioni, nel quale vengono proiettati bambini che giocano e che ci guardano incuriositi e, con la loro innocenza e il loro candore, fanno da contrappunto al racconto
Un viaggio, quello pensato dai Motis, che si muove all’interno delle parole di Pier Paolo Pasolini, parole in movimento, destinate a riecheggiare nelle menti di molte generazioni. Un viaggio interrotto bruscamente, con una morte violenta, nella solitudine di una vita protesa alla perenne ricerca.