Il celeberrimo capolavoro di Eduardo De Filippo arriva all’Arena del Sole di Bologna la settimana prima di Natale portando con sé tradizione ma anche innovazione. Una produzione Teatro di Roma quella che vede in scena dodici attori diretti magistralmente da Antonio Latella, che si avvale di Linda Dalisi per la drammaturgia del progetto.
Un Natale insolito quello di casa Cupiello, reso vivo e drammaticamente attuale dai quadri che si susseguono sul palco che cambia forma e struttura, generando riflessioni e sensazioni contrastanti nello spettatore che, nonostante conosca la classica storia, è travolto dalla sua realizzazione scenica.
Una grande stella cometa inizialmente domina tutto e chiarisce fin da subito l’importanza del vero protagonista del dramma, il presepe: metafora della famiglia, della bellezza di vederne riuniti i componenti per le feste natalizie, dei valori veri che dovrebbero accompagnare gli affetti durante tutti i giorni dell’anno. Gli attori si presentano al pubblico descrivendo i personaggi che interpretano “dal di fuori”, creando una sorta di distacco e insieme corto circuito negli avvenimenti di cui si compongono i vari quadri. Particolare accento viene dato al fattore linguistico: tutti i personaggi parlano in napoletano come nel testo originale, rispettando le cadenze del dialetto e questo crea ancora più discrepanza con il “discorso indiretto” di cui si servono per uscire dal dramma, per tirare una boccata di respiro prima di immergersi nuovamente nel plot interpretato. Fulcro principale di questo adattamento è Concetta, moglie di Luca e madre dei figli che le danno tanti problemi: è lei che non solo metaforicamente ma anche fisicamente grazie all’apporto di una carrozza che traina da un lato all’altro del palco, regge sulle spalle tutte le preoccupazioni, le vicende e gli umori dei singoli componenti della famiglia che a turno salgono sulla carrozza aggiungendo di volta in volta ancora più peso alle sue stanche spalle.
Il presepe domina in diversa maniera anche negli altri quadri scenici, frammentandosi negli animali che lo governano dietro i quali si nascondono le voci narranti il dramma e gli stessi personaggi che non possono fare a meno di quel legame con l’animale che diventa simbolicamente il dono che ciascuno di essi porta al suo Creatore.
In questo senso l’adattamento arriva al culmine nel finale in cui il povero Luca spira riposando in quella che pare quasi la culla di Cristo, attorniato dai propri cari che gemendo capiscono forse solo allora l’importanza e la verità racchiusa in quel “rito sacro”.