Il doppio debutto di Daniele Gatti al Teatro dell’Opera di Roma è stato trionfo: il direttore milanese, che aveva già diretto a Bayreuth, ha aperto la stagione d’opera 2016/2017 del Costanzi con Tristan und Isolde di Wagner nella versione raccolta e intimista con la regia di Pierre Audi già proposta pochi mesi fa al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi.
L’allestimento con la regia di Pierre Audi è di taglio minimale che si sviluppa sulle scene e i costumi (quasi poveri e contemporanei) di Christof Hetzer con due quadrati neri che si spostano ora lasciando spazio a una scena geometrica, quasi astratta ed evocativa che richiama il mare e nel secondo atto ossa di balena bianche e quasi ricurve che sembrano enormi zanne a racchiudere il lunghissimo duetto d’amore degli infelici protagonisti fino a sorta di piccolo palco illuminato con il Liebestod di Isolde prelude alla trasfigurazione con lei sacerdotessa avvolta in controluce bianca con le luci d’effetto di Jean Kalman e i video di Anna Bertsch.
Ma il Tristan resta una sorta di esperienza quasi mistica dove si viene immersi in quasi 5 ore di musica accettando di lasciarsi trasportare dal tempo dilatato di Wagner: nessun applauso all’inizio, solo il celeberrimo Preludio (tema di amore che torna anche nella morte finale), ma una volta seduti in poltrona diventa impossibile tradire l’opera anche se si sa già la funesta fine: nel tempo dilatato di Wagner tutto appare proposto in un doppio binario. La partitura, sempre cangiante, presenta due linee diverse che delineano il mondo reale (in cui l’azione si svolge molto velocemente) attraverso una partitura tonale e il mondo di Tristano e Isotta in una partitura cromatica ingannevole, in un contrasto continuo.
Romantico, quasi infinito e straziante il lunghissimo duetto del secondo atto dei due amanti che mai si toccano, ma finiscono solo per sfiorarsi in contrasto con quel che accade che accade sempre velocemente: cuore dell’opera resta sicuramente il senso di attesa, Sehnsucht, il desiderio e brama degli amanti, l’anelito dell’altro che diventa quasi spasmodico e si risolve solo con l’arrivo dell’oggetto del desiderio.
Tutto funziona in uno spettacolo intimista e raccolto che più che essere un’opera di eros e thanatos diventa solo opera di morte: la direzione di Gatti, entrato nella buca in silenzio e senza applausi, offrendo il giusto rilievo alla musica senza divismi, è coinvolgente, ma rigorosa, precisa e analitica senza mai cedimenti. Merito anche di un suono ottenuto grazie a una nuova disposizione dell’Orchestra, coadiuvata dal bel coro di Roberto Gabbiani.
Di lusso il cast in cui ciascuno è padrone vocalmente e interpretativamente del suo personaggio: a fare la parte del leone sono i due protagonisti, Rachel Nicholss (Isotta) e Andreas Schager (Tristano, sostituito nell’ultima recita per indisposizione del cantante), ma restano ottimi anche Michelle Breedt (Brangäne), John Relyea e Andreas Hörl (Re Marke), Brett Polegato (Kurwenal).