È una delle storie d’amore più appassionate e struggenti di sempre, un amore tanto assoluto quanto impossibile da vivere. Ed è proprio sul celebre romanzo di Goethe che Jules Massenet ha tratto ispirazione per comporre la sua opera, Werther, che ha debuttato il 15 dicembre al Teatro Comunale di Bologna nella sua versione pensata dalla regista Rosetta Cucchi, sotto la direzione d’orchestra del giovane e talentuoso Michele Mariotti.
Raccontare in musica “I dolori del giovane Werther”, uno dei più importanti romanzi epistolari che siano mai stati scritti, fu un’avventura difficile per Massenet, che decise di trarre ispirazione da una delle opere più famose e blasonate del tempo, rischiando un temibile confronto. Eppure il suo desiderio di comporre un’opera su questo giovane borghese, logorato dall’amore per una donna che non avrebbe mai potuto avere, fu talmente tanto che nel 1886 concluse il Werther, andato poi in scena per la prima volta il 16 febbraio 1892 alla Hofoper di Vienna e considerato il capolavoro di Jules Massenet.
La messa in scena di quest’opera francese al Teatro Comunale di Bologna segna anche un altro importante debutto, quello del grande tenore peruviano Juan Diego Flórez nel ruolo di Werther. Il tenore, con il suo cantato, non potente ma straziante, ha dato vita a un personaggio del quale si colgono tutte le sfumature. Una voce, quella utilizzata da Flórez, che si incastona alla perfezione con il carattere di Werther, la sua anima fragile, la sua sofferenza. La malinconia del personaggio trapela in ogni nota, ineluttabile, fatale, così come emerge la sua incapacità di vivere nelle cose concrete del mondo, lacerato dalla chimera del suo amore, del suo desiderio, cui consegue il male di vivere dell’eroe romantico che viene qui reso al massimo della sua espressione.
Sebbene il protagonista sia il fulcro di quest’opera, molto importanti sono anche gli altri interpreti che gli gravitano attorno, a partire da Charlotte, interpretata da una bellissima e bravissima Isabel Leonard che, con la sua voce ricca di sfumature, riesce a rendere ogni graduazione di questa fanciulla tormentata dal senso del dovere, che decide di sposare l’uomo che sua madre, defunta, voleva al suo fianco, ma si strugge per il sentimento che nutre per Werther. Molto brava, nel ruolo di Sophie, Ruth Iniesta, la sua allegria e joie de vivre è in perfetto contrasto con il dolore che si consuma nel cuore della giovane coppia, contrasto che tocca il suo culmine nell’atto finale, quando anche tutti i bambini, suoi fratelli, intonano l’inno natalizio: la gioiosa canzone assume una connotazione sinistra mentre in scena si consuma la morte del giovane Werther che, con un colpo di pistola, ha dato fine alle sue sofferenze. Anche la figura di Albert è resa bene dall’interprete Jean-François Lapointe che assume le caratteristiche di un uomo innamorato della sua donna, ma logorato dalla gelosia perché sa di non essere contraccambiato e sa che il cuore della sua amata è di Werther e, anche se è sua moglie, non sarà mai contraccambiato nel sentimento.
La scenografia (scene di Tiziano Santi, costumi di Claudia Pernigotti, luci di Daniele Naldi) è essenziale ma perfetta nel rendere un quadro famigliare idilliaco all’inizio che, pian piano si disgrega e si frantuma sotto i nostri occhi e sotto gli occhi di Werther che, seduto su una poltrona rossa nel proscenio, guarda ciò che accade dentro il nido famigliare della sua amata, come in una sorta di amplificazione del viaggio che il giovane compie nella sua mente, perché, in fondo, è tutto lì che nasce e si sviluppa: il suo amore, la sua sofferenza e il dolore che lo porterà a togliersi la vita. In questo tempo dilatato, scandito dalla musica, vi sono alcuni elementi scenici che intrecciano il racconto e ritornano, nel loro essere oggetti simbolici (il libro, il carillon, il ritratto della madre di Charlotte, la scatola delle pistole) per dare maggiore pathos a questa storia d’amore impossibile a causa dell’incapacità dei protagonisti di prendere in mano la propria vita, di rendere reali i propri sogni.