Come si rappresenta in maniera efficace un incontro, con tutta la casualità e la leggerezza che lo accompagna, ma senza tralasciarne le implicazioni e complicazioni psicologiche? Come si rappresenta il tempo, quello che può legare e consumare una relazione sentimentale? Come si rappresenta la solitudine, quella sancita dall’assenza e quella acuita dalla presenza dell’altro?
E’ questo in estrema sintesi il sistema di questioni che sta alla base del progetto di Andrea Adriatico, regista di Biglietti da Camere Separate. Per lo meno, le questioni di messinscena possono racchiudersi in questo affresco, mentre sul piano dei temi e degli spunti per la riflessione lo spettacolo inquadra la temperie di tensioni che animò gli anni ’80. Uscito nel 2011 per il ventennale della morte di Pier Vittorio Tondelli, lo spettacolo viene riproposto in questa stagione in occasione dei 25 anni dalla scomparsa dello “scandaloso” scrittore di Correggio. Il lavoro di Adriatico parte da una appassionata conoscenza dell’opera e della figura di Tondelli, ma anche di quegli anni su cui la sua parabola creativa ed esistenziale si consumò velocemente: Tondelli muore nel 1991, vittima dell’ignominioso flagello nascosto dietro la sigla AIDS; due anni prima ha pubblicato Camere Separate, il romanzo della maturità estrema, forse – come si usa – il suo testamento artistico.
L’amore gay, la relazione a distanza, l’unione “moderna” senza vincoli formali, ma soprattutto la progressiva coscienza di sé, della propria individualità stridente contro ogni idea di coppia, la consapevolezza spietata neanche più del limite quanto “semplicemente” dell’impossibile. In scena, questo complesso di forze – che ben si attaglia ai modi del romanzo – viene gestito a partire dal disegno spaziale: lo spettatore varca la soglia di un interno e questo ingresso in una dimensione privata è formalizzato dalla presenza dei due attori sul limitare dello spazio, intenti ad accogliere i loro “ospiti” con sobria ritualità. Le prime parole di Tondelli proposte al (con)tatto del pubblico sono quelle mute che poggiano sui biglietti distribuiti nel corso di questo prologo all’azione.
L’aspettativa così costruita prepara ad uno sviluppo aperto: ad una cerimonia vagamente esoterica o ad uno spaccato d’intimità del tutto semplice, finanche domestico. Lo spazio scenico, condiviso da pubblico ed attori, è in realtà contrassegnato non dalla comunanza, ma dal segno della ripartizione: diviso è il gruppo già esiguo degli spettatori selezionati per ogni replica, disposto secondo due “L” non comunicanti che lambiscono la superficie di scena; divisi sono i due attori, isolati su due pedane circolari collocate simmetricamente in due angoli. Ciascuna delle pedane è delimitata da mattoni forati, e questo tratto di matericità povera contrasta con la dotazione di un microfono ad asta (che a sua volta contrasta con la vicinanza fisica del pubblico). La simmetricità della scena “contagia” l’azione che lentamente si scioglie dalla sua fissità dominante, sviluppandosi con alterne fortune tra le potentissime scosse di puro punk emiliano firmate da Massimo Zamboni.
La distanza – o meglio, la frustrazione di un contatto atteso e tradizionalmente inteso – appare dunque la cifra più convintamente inseguita dallo spettacolo: i due attori possono anche approssimarsi ai singoli spettatori in alcuni momenti, oppure rompere ogni residuo diaframma di convenzione cercandone gli occhi durante i momenti parlati, ma la brevità non si trasforma mai in vicinanza. Così anche la nudità dei corpi non crea contraccolpi né svelamenti all’interno di un gioco scenico che vela ed opacizza tutto ciò che sfiora.
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“Biglietti da camere separate”
con Stefano Toffanin, Alberto Baraghini
Regia: Andrea Adriatico
Adattamento: Andrea Adriatico
Musiche originali: Massimo Zamboni, cantate da Angela Baraldi
Produzione: Teatri di Vita (Bologna)
Florian Metateatro, Stagione 2016-17 “Teatro d’Autore ed altri linguaggi” / “Drammaturgia contemporanea”