Alessandro Bergonzoni, con il suo spettacolo “Nessi”, andato in scena all’Arena del Sole di Bologna, si propone, ancora una volta, solo, su un palcoscenico nudo, senza nessun orpello, se non dei proiettori di luce posti sul fondo della scena. La sua unica arma è la parola, nuda e cruda. Un flusso di parole ininterrotto, che s’intrecciano tra loro, danzano e volteggiano rincorrendo il senso, e il nesso. Nesso tra i vocaboli, sviscerandone i diversi significati, le infinite sfumature e nesso tra le persone, le cose e il resto del mondo, perché ogni azione che compiamo comporta una reazione e crea un legame evidente o celato con qualche altro aspetto dell’umano.
Ed è qui, nel suo lungo monologo solipsistico, che Bergonzoni, con le sue venature comiche e divertenti, a tratti esilaranti, tira fuori una vena malinconica, una profonda riflessione sull’esistenza camuffata dietro battute divertenti, le parole si rincorrono, s’inseguono, si fanno lo sgambetto, in un avvincente calembour, dove l’omofonia crea suono, musicalità, ma dà anche origine a significati diversi, e la polisemia dà luce alle mille sfumature della nostra lingua, che poi, in fondo, rispecchiano anche le mille sfumature della vita.
Le mani dell’attore bolognese sono ingabbiate dentro una sorta d’incubatrice, che le trattiene e le protegge, come se vi fosse bisogno di una cura atavica, perché quello che si celebra è un funerale dei vivi. E non sarebbe una cattiva idea, racconta Bergonzoni nella sua solita cifra surrealista, fare un funerale al proprio papà quando è in vita, fargli trovare la sera un feretro dove potersi coricare una volta rientrato “stanco morto” a casa. E una volta sdraiatosi, dirgli tutte le cose che di solito si dicono a chi non c’è più: “Ti ho voluto bene”, “Avrei voluto fare tante cose insieme a te”. Falle allora queste cose, perché lui è vivo, è con te, puoi creare nesso, perché arriverà il giorno in cui non si avrà più la possibilità di farlo.
Un flusso di battute, spesso anche molto amare, come il figlio sordo chiamato Invano, un avverbio che trasformato in nome proprio produce dei terrificanti significati che tratteggiano con una risata dolorosa, il nostro tempo. “Si è sposato Invano, si è laureato Invano”: fa sorridere, ma fa anche riflettere su ciò che siamo, sulle nostre esistenze, sul nostro stare al mondo, sulla vita e sulla morte, o sul vivere come morti, tema ricorrente nel lungo monologo.
Le parole del comico bolognese scorrono a fiumi nelle due ore di spettacolo che intrattengono il pubblico. Dopo un po’ si comincia a sentire la stanchezza, perché si vorrebbe cogliere ogni gioco di parole, ma si fa fatica a seguirlo nella sua pienezza. Un testo, quello ideato da Alessandro Bergonzoni per “Nessi”, che sarebbe bello anche da leggere, per poterne cogliere le infinite sfaccettature: di senso, d’ironia e di musicalità delle parole.