Nel buio appaiono immagini in bianco e nero di una notizia di cronaca, non da subito è chiaro il soggetto. Su un palco, addobbato solo con una sedia, una panca bianca e un piedistallo vengono proiettate le sequenze fotografiche della morte di Pierpaolo Pasolini. Il corpo fotografato al suolo enuncia la fragilità della vita che va oltre la grandezza del pensiero, che travalica la scrittura ma si mostra lì, nella sua sola accezione di perdita. Poi si sente una voce commossa dall’emozione che parla della privazione al mondo dell’intellettuale, dell’uomo, del poeta, un discorso concitato, intervallato da uno strano battito. Ma non eravamo venuti ad assistere ad uno spettacolo incentrato su Caravaggio? Ecco che entra Vittorio Sgarbi nel più totale silenzio, le scene proposte hanno già coinvolto il pubblico che attento attende parole. Porta con se un bastone che spiegherà essere quello di Alberto Moravia, oggi di sua proprietà, la cui punta ha battuto più volte al suolo nel commosso discorso sulla morte dell’amico (ecco spiegato lo strano battito nella registrazione precedentemente ascoltata). Sgarbi inizia il suo fiume di parole spiegando la morte di Pasolini come la morte di un vizioso che viene assassinato da un ragazzetto a cui non andava di avere un rapporto sessuale con il poeta. Allontana tutte le questione politiche, ridicolizza le ipotesi di un omicidio ad opera di fascisti e manda in fumo anni di dubbi, indagini e ricerche di pensatori, registi, scrittori. Così come mette in relazione (ecco finalmente Caravaggio) i protagonisti dei dipinti di Michelangelo Merisi con i ragazzi di vita di Pasolini. Via quindi ad una sequenza di primi piani di Ninetto Davoli, Franco Citti, dello stesso Pino Pelosi commentati e paragonati al Fanciullo con canestro di frutta, al Bacchino malato, all’Amor Vincit Omnia. Seppur Caravaggio amava ritrarre i ragazzi del popolo e, si dice, che il modello per l’opera Amor Vincit Omnia fosse il suo garzone preferito Cecco Boneri, con il quale l’artista aveva probabilmente una relazione, la lettura che Sgarbi fa di quelle espressioni mi sembra sfacciatamente arbitraria: la grandezza della descrizione dei volti, delle emozioni, dei sentimenti contrastanti dei giovani ritratti dal pittore sono solo rimando ad ammiccamenti sessuali e lascive proposte. Per la bellezza, seppur sofferta, per la poetica introspettiva, per il valore di umanizzazione della figura che Caravaggio ha lasciato al mondo mi sembra davvero riduttivo e triste il commento di questo critico d’arte. Appropriate, convincenti ed interessanti le musiche composte ed interpretate da Valentino Corvino che ha intervallato i lunghi monologhi di Sgarbi. Le immagini, la scenografia e i video sono di Tommaso Arosio, la regia e le luci di Angelo Generali. Lo spettacolo, ideato da Vittorio Sgarbi ha puntato, per tutta la durata, sulla contemporaneità del pittore milanese, sulla veridicità delle immagini e sulla dinamica dei sentimenti evidenziati. Dopo un soliloquio di quasi tre ore, in cui la politica entra neanche tanto velatamente, ed il grande intellettuale Umberto Eco viene classificato quale “coglione” se ne ha abbastanza. Meno male che l’arte è interpretazione e che ognuno di noi può leggere nelle opere non solo la grandezza dell’artista ma anche un proprio personalissimo vissuto. Mi consolo dicendomi di non aver sbagliato quando al “titolo” di critico d’arte penso a Gillo Dorfles.