Alessandro Baricco scrive il suo secondo testo teatrale dopo Novecento e lo affida ancora una volta alla regia di Gabriele Vacis, senza il rischio di rimanere deluso.
Stato di New York, 1901. Natalino Balasso è Smith, geniale meteorologo che prevede il futuro ficcando il naso nel passato degli altri. Le persone si ricordano sempre che tempo ha fatto quel giorno in cui è successo quel fatto importante per loro. Ripescare cadaveri dalle cascate del Niagara è senza dubbio un avvenimento difficile a dimenticarsi, anche per chi lo fa di mestiere. Fausto Russo Alesi è Wesson, “il pescatore”. La signora Higgins, proprietaria dell’albergo giù in paese, ha consigliato a Smith di andare da lui per compilare le sue tabelle. Così si incontrano, Smith e Wesson, in cima alle cascate del Niagara, dove la gente va a suicidarsi. Potrebbe non essere la premessa di una vicenda comica, ma lo spettacolo scorre piacevole tra il contrasto di caratteri dei protagonisti e l’assurdità dell’avventura che stanno per vivere. A proporre loro questa follia è la giovane giornalista Rachel Green (Camilla Nigro), in cerca di una notizia da prima pagina per il suo giornale e di una rivincita sul mondo intero per il suo futuro. La signora Higgins le ha consigliato di rivolgersi a Smith e Wesson. Si vuole buttare giù nelle cascate, Rachel, e sopravvivere. Là dove tutti si buttano per farla finita, lei vuole lanciarsi verso un nuovo inizio.
“La scrittura di Baricco contiene l’azione. Quello che si deve fare è estrarla. Considerando una cosa che a me piace molto: Baricco non ha paura dei sentimenti.” In 100 minuti Vacis tira fuori tutta l’azione necessaria a uno spettacolo che racconta, diverte e tocca il cuore. Quella di Smith & Wesson è una storia di amore per la vita, un amore inteso come somma degli amori che proviamo per tante piccole cose che facciamo, a volte sciocche, a volte grandi, a volte folli. Nella messa in scena come nella realtà ogni personaggio prende vita attraverso le sue passioni, incarna il proprio sogno ed è vivo per questo, per sfidare sé stesso in qualcosa. Da qui nascono le nostre paure, dalle quali qualcuno prova a fuggire buttandosi giù dalle cascate del Niagara. Ne ha ripescati tanti, Wesson, calcolando di ognuno il punto di arrivo. Anche suo padre ne portava a riva parecchi, e salvi. C’è chi si butta per morire e chi si butta per vivere, e non sempre il risultato è quello sperato.
È una storia d’amore e di fragilità e come tale va saputa raccontare. Ogni sospiro assume un significato preciso, quando ci sono di mezzo le emozioni, e bisogna esser capaci di calibrare i silenzi. Le parole di Baricco sono scelte con cura, come preziosi oggetti di scena che gli attori si scambiano leggeri, in equilibrio sul precipizio. Tutto accade, inaspettato e meraviglioso, sull’orlo del baratro, sotto ai piedi della platea, sulle labbra vermiglie della signora Higgins (Mariella Fabbris). Tutto accade in un momento, non si sa bene come, ma da una parte e dall’altra del sipario si trattiene il respiro, si freme, si spera.
Smith & Wesson è l’opportunità straordinaria che il teatro offre di tuffarsi in un torrente ed uscirne indenni per poterlo raccontare, ancora una volta, ognuno con le proprie affannate ma vive parole.