“Non ti voltare”. Tre parole ineluttabili, cinque sillabe attese già prima di arrivare a teatro dal singolo spettatore di “Cantami Orfeo”. Attraverso l’ultimo lavoro di Teatro del Lemming rivive in maniera quanto mai centrale una problematica organica al teatro, quella che concettualmente si definisce autonomia del linguaggio teatrale, ma che all’atto pratico si concretizza in questioni e situazioni assolutamente tangibili. Sorprendere lo spettatore o incontrarlo su di un territorio conosciuto? Guidarlo o lasciarsi guidare? E l’elenco potrebbe proseguire.
Con i miti classici -come in generale con il repertorio tradizionale- si ha difatti a che fare con personaggi, vicende e parole che il pubblico sente di possedere personalmente ed affettivamente, oltre che spesso materialmente sotto forma di libro. La messinscena viene ad agire su di un tessuto delicato ed intimo, fatto di attese molto spesso inconsapevoli ma non per questo cedevoli.
A riguardo, Teatro del Lemming decide – per sua missione programmatica – di non cullare le spinte più conservative nei suoi spettatori, a cui si rivolge non a caso nella loro individualità o nella loro coscienza di comunità minima. Nel caso di “Cantami Orfeo” il numero dei partecipanti ammessi ad ogni replica è fissato attorno alla cifra di venti, per i quali l’impianto di scena e di prospettiva viene deformato a partire dalle percezioni più immediate. Il palcoscenico coperto di materassi, trasformato in giaciglio “com-unitario” è il segno più letterale di questo congegno dedicato al mito di Orfeo ed Euridice (il sonno, la morte, la narcosi prodotta dall’arte), mentre l’elemento più caratteristico sta nel sistema di direzioni su cui poggia lo spettacolo: un gioco di verticalità e profondità, l’una fissa, l’altra cangiante. La visione è posta in alto, dove compare la figura di Euridice, che Chiara Elisa Rossini sa rendere con tratti arcani ed atemporali, sospesa su di un asse di legno centrale che almeno per collocazione può ricordare un trapezio circense. In realtà, Euridice è distesa anche lei, duplicando la posizione supina del pubblico, che raggiunge solo tramite la voce e la rifrazione della sua immagine, catturata ancora più in alto dalla volta di un ampio specchio. Questo viene sì a chiudere materialmente una sorta di box set rovesciato, ma all’atto pratico moltiplica l’abisso della sua profondità, replicando in alto la lunghezza dei piani, che di tanto in tanto vengono interrotti nella loro illusorietà dalla presenza reale di Euridice, quando lei si affaccia dal suo “trapezio” rivolgendosi in basso ed accorciando la distanza della visione, secondo modi che si potrebbero paragonare a quelli del primo piano cinematografico, alternato al campo lungo.
In questo montaggio di realtà, sensorialità ed apparenza, solo lo spettatore è impossibilitato a voltarsi, ed il fatale errore di Orfeo ha paradossalmente un che di liberatorio e vitale rispetto alla condizione fissa del pubblico. Visione è dunque il concetto più appropriato per un’azione che manca volutamente all’appello, rimpiazzata dalla presenza immateriale del canto orfico: la musica composta ed eseguita dal vivo da Massimo Munaro fa da traccia portante per un corpo di componimenti lirici diversi (Rilke, Ritsos, lo stesso Munaro oltre che Ovidio ed altri) recitati ed intrecciati a due voci, con il mito antico che si lega alle tensioni del mondo attuale.
La scena che si capovolge svela un concetto di attore che si ritrae dal protagonismo del suo destino e si mostra agli occhi per effetto di un puro riflesso. Così, la corporeità effettiva dello spettacolo viene apportata dal pubblico, unico reggente in scena di una gravità che lega al suolo il respiro dei vivi.
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CANTAMI ORFEO
Con Chiara Elisa Rossini e Massimo Munaro
Musiche e Regia: Massimo Munaro
Assistenza Tecnica: Alessio Papa
Elementi Scenici: Luigi Troncon
Produzione: Teatro del Lemming
Florian Metateatro – Stagione 2016-17 “Teatro d’Autore ed altri linguaggi/Scenari Musicali”