Da “La gatta Cenerentola” di Basile e “Cenerentola” dei fratelli Grimm e Perrault
regia e adattamento di Luigi Imperato e Rosario Lerro
con Ilaria Delli Paoli, Roberto Solofria, Valeria Impagliazzo, Claudia Gilardi
Produzione Mutamenti/Teatro Civico 14
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Cenere’ è una riscrittura di tre modelli quali La gatta Cenerentola di Basile e Cenerentola dei fratelli Grimm e Perrault, messa in scena da Luigi Imperato e Rosario Lerro con l’interpretazione di Roberto Solofria e le giovani Ilaria Delli Paoli, Valeria Impagliazzo e Claudia Gilardi.
Tre tradizioni, dunque, di una stessa fiaba che confluiscono in una riscrittura dialettale, trasposta scenicamente in un’atmosfera tetra, dai colori chiaroscurali attraverso i quali emerge un’immagine della celebre storia fra il grottesco ed un crudo realismo. Nessuna scenografia desunta dall’immaginario collettivo tradizionale, ma soltanto tre strutture mobili praticabili con cassettoni ed ante si muovono in assito definendo piccoli e grandi spazi di un interno greve assai, disegnando l’ambiente come una sorta di gattabuia nella quale a Cenerentola è affidato il ruolo di serva, destinata, talvolta, ad un’assurda conta di migliaia di ceci che la matrigna dispettosa le riversa a sacchi. Mite e dolce, stavolta l’eroina di intere generazioni ha qualcosa di molto più ravvicinato ai temperamenti di una fanciulla moderna. D’altro canto vi sono le litigiose e aggressive Genoveffa e Anastasia, “costrette” dalla stessa madre ad imparare una sgraziata coreografia in vista di un loro debutto in società per assicurarsi un ricco marito; esse vestono un abitino bordeaux con una goffa gonna rigonfia – mentre quello di Cenere’ è in blu – e dello stesso colore veste anche la grottesca genitrice, interpretata dall’attore Roberto Solofra. L’immediatezza della dicotomia dei costumi s’innesta in un quadro visivo molto semplice che avalla un registro comico di facile accessibilità per un pubblico anagraficamente trasversale, fondato su un’espressività ed una mimica canzonatori e popolari.
Cenere’ si presta ad un gioco recitativo che non lascia alcuno spazio al romanticismo, ma deforma la storia attraverso la caratterizzazione puramente grottesca e con ciò tutti gli elementi subiscono una declinazione realistica che ne estirpa la componente magica. Stavolta la sfortunata fanciulla si ritrova a leggere, per una beffa messa in atto delle sorellastre, di una maga e di una zucca inesistenti, e tramite questo spunto metanarrativo i due registi insistono sull’inesistenza di quel soprannaturale sempre in soccorso agli eroi fiabeschi, e quindi su una cruda realtà – nella fattispecie bassa, goffa e popolare – che può mutare solo con le forze individuali e perché no? Anche con la fortuna.
La caratterizzazione quasi picaresca di Cenerentola determina l’essenzialità dell’intreccio che conferma il suo lieto fine originario conquistato con la sola intraprendenza di una sguattera, l’unica che riesce a calzare una scarpetta numero trentadue, e salva lo spettacolo dal sospetto di semplice parodia, rendendolo fruibile da grandi e piccini.