produzione Compagnia Umberto Orsini
versione italiana Masolino D’Amico
regia Massimo Popolizio
personaggi e interpreti:
Gregory Solomon Umberto Orsini
Victor Franz Massimo Popolizio
Esther Franz Alvia Reale
Walter Franz Elia Schilton
scene Maurizio Balò
costumi Gianluca Sbicca
luci Pasquale Mari
durata dello spettacolo: h 1.45 senza intervallo
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Vecchi mobili scuri in legno massiccio coperti, rovesciati e accatastati facenti capolino da ovunque e un giradischi che sputa musica anni ’20 è ciò che le luci di scena illuminano inizialmente.
Una vecchia casa in procinto di essere demolita fa da teatro a uno spaccato di vita che ha dentro di sé tanta di quella umanità che sfido chiunque a non sentirsi chiamato in causa dai contenuti di questo testo.
Un marito e una moglie sulla cinquantina aspettano un perito con cui trattare il prezzo da attribuire a immobile e mobilia; dialogano non senza amore ma con il peso degli anni e della fatica nelle parole.
Due fratelli si incontrano dopo molto tempo nel luogo dove sono nati e cresciuti, ricordando l’infanzia insieme, i genitori, i torti subiti: dopo la Grande depressione, tutta la famiglia aveva dovuto fare i conti con l’improvvisa perdita di benessere, con il disvelamento dei valori e dei bisogni che ne era derivato e con le diverse risorse che ciascuno aveva dovuto attivare per fronteggiare la crisi.
Il prezzo diventa un espediente: se, infatti, per buona metà dello rappresentazione esso non viene rivelato, siamo, però, ripagati da un altro tipo di conoscenza. Ogni personaggio svela se stesso nel confronto con gli altri, e niente è come avevamo pensato. L’idea che immediatamente ci eravamo fatti di ciascuno cambia mano a mano che ascoltiamo: come nella realtà non esistono buoni o cattivi, verità e menzogne tagliati con l’accetta, così Miller con questo testo ha saputo rendere la complessità propria della vita, a un determinato spaccato della quale ci troviamo a compartecipare. Certo è che l’autore avrebbe potuto scegliere una qualsiasi altra situazione per avviare la sua trattazione e far emergere problematiche che aiutassero nella riflessione sopra il proprio tempo, ma forse non avrebbe sortito la stessa profondità come con l’utilizzo di una vicenda che è in parte autobiografica.
Avremmo potuto fermarci ancora a lungo a sipario calato o decidere di andarcene prima della fine, ma non avremmo perso il senso della storia, ed anzi questo ci sarebbe giunto con uguale o maggiore forza anche se la regia avesse usato gli attori per osare un’interpretazione del testo meno “di parola”, meno caricata e guitteggiante, dunque maggiormente vera.