Giuseppina Facco, strepitosa attrice savonese, accetta di incontrarmi in un bar di piazza Robilant, a Torino. Abbiamo un’amica comune, anche lei attrice di qualità, Angela Vuolo, che l’ha ospitata in occasione di una replica del suo spettacolo “Le guerre di Angela”, a Lanzo, sabato scorso. Ci siamo visti solo una volta, in occasione della recensione del suo spettacolo al Fringe, l’anno scorso. Quando arriva resto un attimo disorientato, mi aspettavo una ragazza dai capelli lunghi e scuri, in realtà li ha chiari e corti, e mi assicura che non li ha più tagliati dall’epoca. Mi assicura che anche ad altri è successo di immaginarla così, apprezzo la sua comprensione. Il sorriso gentile e gli occhi grandi ed espressivi mi fanno intuire che è persona dolce ma determinata, una bellezza quasi nordica ma con caratteristiche italiane ben accentuate (occhi scuri e viso comunicativo). Prima della chiacchierata ordiniamo cappuccino e brioche che, anche se è tarda mattinata, fanno sempre piacere. Sa che parleremo a ruota libera, anche di lei se ne avrà voglia, ed iniziamo.
È diventata attrice perché, a 17 anni circa, ha visto uno spettacolo teatrale nel liceo della sua scuola, e ne è rimasta così colpita ed emozionata da non poter pensare ad altro per sé stessa. Aveva assistito ad una messinscena de “I Coribanti”, un gruppo di studenti diretti da insegnanti di teatro, in genere attori che venivano apposta per creare degli spettacoli di qualità, e le piace ricordare, tra gli altri, Simonetta Guarino. Il Teatro nella sua scuola si faceva dalla 3° Liceo (Classico) e la qualità era alta.
«Dopo il diploma ho scelto una buona scuola di Teatro e sono stata accettata alla Paolo Grassi di Milano. È stata un’esperienza bella ed intensa. In verità ero così entusiasta di poter fare teatro tutti i giorni per 8-9 ore, che tutto mi sembrava meraviglioso. Milano offriva moltissimo, infatti si usciva tutte le sere e si vedevano cose davvero belle, ma il lunedì mattina a Savona era dura riprendere il treno per tornare a scuola. I miei genitori mi hanno sempre appoggiata. Capivano che era una scelta importante. Dopo la scuola… mi sono fermata. Sono andata in Toscana e per alcuni anni non ho fatto più nulla. Avevo paura a riprendere, temevo di avere perso ciò che mi ero conquistata con fatica e con sudore ed invece, non solo avevo tutto chiaro ma questo periodo di sospensione mi aveva creato una maggiore consapevolezza e mi sembrava di capire e sentire cose nuove, coglievo in me una maggiore ricchezza espressiva.
Ho lavorato con Il Teatro della Gioventù di Genova, con il Teatro Stabile di Brescia ad una “Lisistrata” con la regia di Andrea Battistini e poi è nato lo spettacolo sulla Prima guerra mondiale: “Le guerre di Angela”. Mi era capitato fra le mani un vero diario di guerra, un ufficiale che scriveva alla propria moglie, e non era finzione cinematografica o televisiva ma davvero qualcuno aveva vissuto quelle cose. E scoprire che per lui tenere quel diario era diventato fondamentale, infatti pur di avere materiale con cui scrivere e sui cui scrivere barattava il cibo ed i pochi soldi, mi ha coinvolta in prima persona. Era come se quelle parole fossero rivolte a me: io scrivo perché queste cose si devono sapere, quello che io e tutti noi abbiamo passato non devono essere ignorate. Mi sono sentita investita, in qualche modo di questo compito da portare avanti.
E poi c’è stato un grosso lavoro di lettura, che ha coinvolto anche Andrea Bavecchi, storico fiorentino ed esperto in tecniche belliche, consulente storico televisivo e cinematografico, autore di numerosi testi. Ha anche curato la traduzione e trascrizione di molti diari, ed una sua pubblicazione “Diario di un cecchino italiano a Serra Nevea” ed “È stato un autunno freddo” sono stati fondamentali per la stesura drammaturgica. Un medico savonese, amico di famiglia, mi ha permesso di utilizzare le lettere che i suoi nonni si scrivevano dal fronte. La regia di AnnaPaola Bardelloni poi, ha permesso a questo spettacolo di vedere la luce nel Novembre 2015, in Sardegna. La prima è stata a Savona due repliche in Sardegna e poi il Fringe Festival di Torino. Le prove di quello spettacolo e di quello a cui sto ora lavorando sono state fatte in una sala di un albergo di Savona, l’Hotel Riviera Suisse, fondato dal mio bisnonno e che non è più in funzione. Il bisnonno era un cuoco del re, piemontese di Niella Tanaro, che ha deciso di aprire una rosticceria a Savona negli anni ’20. Gli affari andavano così bene che ad un certo punto ha avuto bisogno di stanze per ospitare i suoi affezionati clienti e così, da questa esigenza si deve la nascita dell’albergo, era il 1938.»
È emozionata mentre mi racconta che, durante le circa venti repliche che ha questo spettacolo, alcune volte le sembrava non fosse riuscito per errori fatti; è cosciente di essere sempre molto critica verso sé stessa e mai soddisfatta, o per problemi esterni. Ed è stato soprattutto in quelle occasioni che la gente la aspettava, in piccoli capannelli con gli occhi lucidi per testimoniarle l’emozione provata e la gratitudine nei suoi confronti. Anche se poi deve ammettere che l’emozione del pubblico l’ha riscontrata sempre, non c’è stata una replica in cui non sia accaduto. Sono quelli i momenti in cui tutte le fatiche del viaggio, i semafori rossi, le code, tutte le delusioni subite, i No ricevuti, le difficoltà quotidiane si dissolvono e ti rendi conto di amare questo lavoro perché ti permette di comunicare con le persone in modo alto. Mentre ascolto, colpito da questa dichiarazione, le ripeto un concetto che ho già espresso altre volte: questo spettacolo dovrebbe essere portato nelle scuole e fatto vedere a più realtà possibili, perché racconta situazioni e fatti poco noti di quella triste esperienza Italiana. Analizza poi un aspetto forse mai raccontato: il punto di vista delle donne, come l’hanno vissuto e che importanza hanno avuto affinché il tutto non degenerasse. Lo fa portando 4 figure rappresentative di un’epoca: una maestra, una contadina, una prostituta ed una donna della media borghesia.
In questo periodo sta lavorando ad un nuovo spettacolo che ha una genesi diversa. La visione di un film “Goya’s Ghost” tradotto in Italiano “L’ultimo inquisitore”, scritto da Milos Forman e Jean-Claude Carrière, con la regia di Milos Forman. Gli attori principali sono Natalie Portman e Javier Bardem. Questa pellicola l’ha portata ad analizzare la condizione femminile all’interno di una situazione di violenza, di come la vittima tenda spesso a colpevolizzarsi invece di rompere il cerchio di ambiguità che la avviluppa. Sta leggendo molti testi che trattano di quel periodo storico, ed è incredibile di come alcune situazioni narrate siano tuttora attuali. Per adesso sappiamo che vedremo in scena 1 ora di vita effettiva di una donna che si chiama Maria. Che il titolo dovrebbe essere “Feu de vie” e che userà ancora meno oggetti scenografici di quelli già pochi, usati per il precedente spettacolo. Debutterà il 5/6 Maggio come studio e l’ambizione è quella di farne una trilogia sull’ingiustizia. La AnnaPaola Bardelloni è ancora al suo fianco. Le esprimo la voglia e la curiosità di vederlo appena possibile. Il tempo è volato, entrambi dobbiamo abbandonare questo bar accogliente ed immergerci nella confusione della città. Peccato… è stato un momento davvero piacevole.