Un incontro magico, catartico, rituale quello della musica e della danza. Un dialogo muto nel quale si esprime l’essenza, l’energia, la vitalità dell’uomo. La compagnia Aterballetto è sicuramente una delle realtà più significative nel portare avanti il linguaggio della danza in Italia, ed è un’esperienza unica nel nostro Paese, diventando una delle prime realtà stabili al di fuori delle Fondazioni liriche. L’intento di Aterballetto, fondata nel 1979 è quello di divulgare il linguaggio assoluto della danza, intesa come dinamica e forma nello spazio, incarnazione di risonanze espressive e estetiche e in continua dialettica con l’altra grande protagonista, la musica. Questa importante compagnia è tornata a esibirsi al Teatro Arena del Sole di Bologna con due bellissimi lavori creati da due talenti assoluti della coreografia europea: il tedesco Philippe Kratz e lo svedese Johan Inger.
“Simile all’acqua è l’anima dell’uomo” recita il “Canto degli spiriti sulle acque”, la poesia di Goethe che diventa l’assunto, insieme all’episodio dell’abbattimento di un aereo civile in Ucraina da parte di un missile militare, della coreografia “l’Eco dell’acqua”, pensata dal coreografo tedesco Kratz. Il corpo dei ballerini fluisce e scivola come il tempo, come l’acqua e come l’anima dell’uomo, in un continuo scambio, un continuo dialogo, simile all’incontro delle onde col vento, citato da Goethe nella sua poesia: il vento che genera il movimento dell’acqua così come un impulso corporeo genera la movenza dei ballerini e la relazione tra essi. Nella prima parte dello spettacolo la folla di ballerini si condensa in un’esposizione votata alla confusione e al disordine, in un flusso difficile da comprendere che denota la difficoltà di contenere il presente e di generare una nuova consapevolezza nei confronti dell’individualismo imperante e del letargo dell’uomo. Sullo sfondo un telo nero che risucchia alcuni ballerini, sospesi in una bellissima performance di prese invisibili che li fagocitano dentro questo vuoto, questa oscurità che prefigura l’annuncio della caduta. L’instabilità dell’esistenza diventa così una sorta di incubo. La musica scandisce i movimenti di questa moltitudine che fluttua sul palco, la difficoltà di seguire ogni azione determina una continua scelta da parte dello spettatore, che inevitabilmente, in mezzo al marasma di movimenti, è costretto a crearsi un proprio senso attraverso una scelta continua che determina anche la parzialità dell’esistenza, assoggettata alle contingenze.
La seconda parte dello spettacolo ha avuto come punto di partenza il Koln Concert di Keith Jarret, una delle più belle e magiche improvvisazioni soliste che siano mai eseguite, che ha ispirato milioni di artisti tra cui anche il coreografo svedese Johan Inger con la coreografia “Bliss”. Era una sera del 24 gennaio 1975, quando il grande muscista jazz, durante il concerto all’Opera Haus di Colonia, fu costretto a improvvisare, a causa di una serie di disguidi, su uno strumento male accordato. Ne uscì fuori una performance indimenticabile, che Inger utilizza per creare una coreografia ricca di energia e vitalità, il cui titolo, beatitudine appunto, ne accentua tutta la spensieratezza, la leggiadria e solarità dei corpi che si intrecciano in un vortice di relazioni ricche di giocosità, in cui l’incontro è protagonista. I danzatori, vestiti tutti con costumi colorati, volteggiano su un tappeto bianco, in un palcoscenico spoglio, e sembrano immersi in una dimensione onirica.