Paolo Rossi torna al Teatro Vittoria di Roma (fino al 12 febbraio) e stavolta si cimenta con Molière. Ma a modo suo, portando in scena Molière: la recita di Versailles personalissima rivisitazione della storica Recita a Versailles, allestimento teatrale improvvisato dal drammaturgo francese e dalla sua compagnia nell’arco di un solo pomeriggio come gradito (e ordinato) a Luigi XIV Re Sole.
Abilmente costruito sul canovaccio di Stefano Massini, autore italiano fra i più apprezzati a livello internazionale, lo spettacolo (con la solerte regia di Giampiero Solari) vede alternarsi in scena Paolo Rossi nelle vesti di Molière e Paolo Rossi nelle vesti di capocomico che interpreta sé stesso intento a guidare la sua compagnia: in scena, un corposo caos organizzato che resta sempre coscientemente nel voluto limbo fra il copione e l’improvvisazione e intrinsecamente anarchico, costruito sull’artigianalità del mestiere dell’attore alle prese con il potere anche attraverso i secoli.
Comico, o meglio, attore di razza, Rossi fa saltare immediatamente la quarta parete e ogni tipo di definizione, facendo saltare il confine di barriera cronologica mescolando finzione e realtà, Seicento e giorni nostri, personaggio e attore. E a differenza di altri suoi spettacoli, qui il palco è molto affollato.
Ci sono I Virtuosi del Carso, musicisti che eseguono dal vivo le canzoni originali di Gianmaria Testa capitanati da Emanuele Dell’Aquila, molto più di un musicista, in pratica la spalla di Rossi.
E ci sono tutti gli attori della compagnia di Molière – Rossi (bravissima Lucia Vasini, Fulvio Falzarano, Mario Sala, Alex Orciari, Stefano Bembi, Bika Blasko, Riccardo Zini, Karoline Comarella, Paolo Grossi) che scivolano ambiguamente fra i vari personaggi. E c’è un pacioso, adorabile cane che si aggira per il palco in cerca di attenzione per poi addormentarsi serenamente.
Anarchico viaggio nel tempo fra rimandi e parallelismi continui, lo spettacolo propone anche tre estratti delle più celebri opere di Molière (Misantropo, Tartufo e Malato immaginario qui tradotti e adattati da Massini) che mostrano tutta la loro strettissima attualità anche a distanza di secoli., ma in gioco di citazioni non mancano le vicende personali degli attori, in un caos organizzato che sembra continuamente sull’orlo del collasso (calcolato) per ragionare sul mestiere dell’attore e sul servilismo degli intellettuali, ma sempre fra ironia e sarcasmo, passione e talento.
Sembra che si reciti a braccio, soprattutto quando i problemi personali diventano quelli della compagnia o quando Rossi incalza con le sue battute nelle vesti di capocomico contemporaneo con qualche riferimento all’attualità, ma tutto è perfettamente al suo posto in un gioco di specchi continuo, in un allestimento che sfugge alle definizioni arrivando a snocciolare tre Molière perfetti cullati dalla musica e sull’orlo dell’improvvisazione organizzata. In pieno stile Paolo Rossi.