Grazie al Progetto Prospero, la rete europea che dal 2008 facilita lo scambio di spettacoli tra alcune delle più importanti realtà teatrali europee, l’Arena del Sole ha avuto la possibilità di ospitare, in esclusiva italiana, lo spettacolo “Compassion. Storia di una mitragliatrice” di Milo Rau, regista svizzero di nascita e tedesco di adozione che, non ancora quarantenne, si è già fatto spazio nel panorama teatrale e cinematografico europeo, diventando uno dei registi più importanti della nuova scena internazionale.
Ciò che contraddistingue Milo Rau è la sua capacità nel realizzare opere sviluppate con il metodo “reenactment”, che consiste nella ricostruzione e riproduzione di eventi politici, storici e sociali a partire da alcune testimonianze dirette con lo scopo di portare lo spettatore a riflettere in modo profondo su alcuni temi attuali di cui si parla sempre troppo poco, per trovare anche uno spunto per reagire all’attualità.
Nel suo ultimo spettacolo Compassion, il regista affianca la tragedia dei migranti nel Mediterraneo con i grandi massacri delle guerre civili dell’Africa Centrale. Con il suo team, Rau ha viaggiato attraverso la Siria, la Turchia, la Grecia e la Macedonia con l’intento di costruire questo spettacolo che, come una lente d’ingrandimento, vuole ampliare il focus su alcuni punti caldi del tempo che stiamo vivendo: da una parte il cammino dei profughi che dal Medio Oriente cercano di raggiungere l’Europa, come racconta Consolate Sipérius attrice originaria del Burundi che narra la sua storia di bambina sopravvissuta al genocidio degli anni novanta e, successivamente, adottata da una famiglia belga; dall’altra parte le vicende storiche della Repubblica Democratica del Congo afflitta da una feroce guerra civile di cui poco si parla e che qui viene raccontata dal volto gentile e algido di Ursina Lardi, attrice svizzera tedesca, che presta il suo volto, riproiettato in un grande schermo per coglierne le innumerevoli espressioni, e la sua maturità artistica al racconto della truce esperienza fatta in Congo, una testimonianza piena di umanità in cui si ride, si piange, ci si indigna, proprio come accade quando si vive la vita, anche nelle condizioni più terribili.
Le due storie si riflettono l’una nell’altra come in un gioco di specchi e s’intersecano più volte durante lo spettacolo. I monologhi si fondono e le loro storie riverberano l’una nell’altra. In questa pièce di teatro pseudo-documentario s’intrecciano due prospettive e due racconti differenti che gettano luce sulle incoerenze, sulla “pseudo-compassione” e anche sui limiti delle organizzazioni umanitarie del mondo occidentale. Lo spettacolo è costruito grazie alle testimonianze degli operatori delle Organizzazioni non governative, di uomini di chiesa, di reduci e vittime di guerra che hanno riportato conseguenze fisiche e psichiche.
E allora, analizzando il genocidio in Africa Centrale, dove le due comunità Hutu e Tutsi si fanno un’infinita guerra che ha ucciso milioni di persone, il regista si domanda se ci può essere un’alternativa alla mitragliatrice. C’è un modo, seppur remoto, in cui è possibile evitare tutto questo sangue e queste tragedie? L’occidente non conosce la storia, la “Vera” storia, di questi popoli e proprio per questo il nostro popolo non riesce a provare una sincera empatia per i rifugiati.
La mitragliatrice di cui si parla nel sottotitolo è quella che ha ucciso tutti i famigliari di Consalate e l’ha costretta a fuggire, ed è la stessa con la quale finisce lo spettacolo. Ma c’è una mitragliatrice simbolica alla quale si riferisce Rau, quella che non spara pallottole ma che attraverso la conoscenza e l’informazione, attraverso un’apertura mentale e un desiderio di conoscere davvero ciò che accade in altri parti del mondo riesce, forse, a trovare soluzioni alternative, a sopportare con più pietà e compassione la miseria altrui, a chiedersi perché una persona morta in Europa abbia più valore di mille morti vittime della guerra civile congolese.