Era il 17 maggio 1976 quando uscì nei circuiti cinematografici il film di Steno, una commedia all’italiana che suscitò tiepidi entusiasmi. Con gli anni e diversi passaggi televisivi il pubblico ha introiettato i personaggi, che hanno assunto i connotati di maschere caratteriali, e il linguaggio da cui sono stati mutuati modi di dire ed espressioni gergali entrati nell’uso comune. Mandrake ed Er Pomata sono diventati sinonimi di spacconeria e giovialità romanesca, caratterizzati da due attori che hanno spopolato sui palcoscenici della rivista italiana: Gigi Proietti ed Enrico Montesano.
A quaranta anni di distanza, debutta in prima nazionale assoluta la trasposizione teatrale con l’adattamento di Enrico Vanzina, figlio di Steno, la supervisione artistica di Enrico Brignano e la regia di Claudio Insegno.
Uno spettacolo tutto nei cliché della romanità, dal carattere indolente alla cialtroneria, dall’inventiva esasperata all’arte dell’accomodamento, dalla genialità dei raggiri alle trovate creative che hanno trasformato la pellicola in un cult, acquistando perfino maggior ritmo nei tempi teatrali più serrati.
Macchiette che tratteggiano il costume sociale degli anni settanta con la compulsione del gioco che si riversava soprattutto negli ippodromi: alcuni cavalli erano delle star su cui si appuntavano tutte le aspettative di chi si piccava di conoscerne a fondo le potenzialità puntando sulla loro vittoria anche ciò che non possedevano. Tracotanza e vocazione alla sconfitta fanno di questi personaggi figure emblematiche di perdenti mossi da un’ingenua follia.
La scenografia molto articolata ricrea gli ambienti esterni e interni con pedane estraibili e pannelli scorrevoli verticalmente su cui si proietta il disegno luci delle realistiche facciate dei palazzi con i portoni e le insegne, la pista dell’ippodromo e le scuderie. Suggestiva la scena della corsa truccata con la sfida tra il favorito Bernadette e l’outsider Soldatino, con due ballerini dalla lunga criniera che danzano al trotto e al galoppo.
Il tribunale che dovrà giudicare i truffatori rivela un’inaspettata sorpresa: anche il giudice rivela la stessa passione dopo l’appassionata arringa di Mandrake a favore del giocatore compulsivo. Il lieto fine lo vedrà entrare di diritto tra i ranghi degli scommettitori.
Bruno Fioretti detto Mandrake è interpretato, con instancabile versatilità nell’ideare stratagemmi per ovviare ai disastri che combina, da Patrizio Cigliano. Andrea Perroni proietta Er Pomata indietro di quattro decenni, facendolo esprimere col timbro e la cadenza di Montesano; l’inventiva con cui mette in atto le sue gag coinvolgendo perfino la famiglia, nonna e sorella compiacenti, lo rende sfacciato e simpatico. Completa il trio di patiti delle corse Felice, defilato e prudente, interpretato da Tiziano Caputo.
Maurizio Mattioli affronta il ruolo dell’avvocato De Marchis che era stato di Mario Carotenuto, mentre Sara Zanier è Gabriella, fidanzata di Mandrake (nel film Catherine Spaak), ostile all’ambiente delle corse ma disposta a perdonare le malefatte del suo uomo.
Toni Fornari sulle musiche di Fabio Frizzi ha scritto i testi delle canzoni mentre il recitativo si sviluppa sulla falsariga dei dialoghi del film, con le battute memorabili che hanno connotato la generazione di quando c’era la lira e la cinquecento!
Spacconate, ingenuità, cavalli che parlano, scommesse vere e pilotate, cavalli vincenti e brocchi, espedienti, in una parola mandrakate recitate, cantate e danzate.
Chi ha amato il film apprezzerà questo allestimento che ne evoca gli ambienti e le atmosfere.