Oggi siamo abituati a vedere a teatro un dramma borghese, a sorridere amaramente delle miserie dei personaggi. Immaginatevi, però, per un attimo di tornare a fine Ottocento e vederne uno per la prima volta. Sì, immaginatevi di essere presenti al Teatro d’Arte di Mosca, in quel lontano 1898, e di capire assieme agli altri spettatori di essere davanti a qualcosa di totalmente nuovo. In scena fanno capolino la quotidianità, i tormenti interiori di ciascuno di noi, le delusioni… Sembra proprio di far parte dello spettacolo, come se anche noi potessimo alzarci e prendere parte dicendo la nostra.
Ancora oggi si ha la stessa sensazione guardando il “Gabbiano” di Cechov. Un cast eccezionale dà vita ai suoi personaggi, così ansiosi di vivere, ma al tempo stesso così delusi. C’è Kostia, che sogna un teatro di “forme nuove”, l’affetto della madre e l’amore di Nina, ma è incapace di guadagnarsi ognuna di queste cose. Prigioniero della propria esistenza, si sente come un vecchio pieno di delusioni ed è consapevole che per lui ci sia soltanto un modo per volare libero… C’è Irina, interpretata da una splendida Elisabetta Pozzi, che si aggrappa disperatamente all’amante Trigorin, mentre si sente minacciata dal peso degli anni che passano. Non riesce a comprendere il figlio e per questo l’unico modo per parlare davvero con lui è lo scontro. Uno scontro tra generazioni, feroce e pieno di accuse, che aumenta il distacco tra i due. C’è Trigorin, scrittore ben consapevole di non essere alla pari con i grandi del suo tempo, che vorrebbe essere per qualche istante il protagonista di uno dei suoi racconti. Sempre taciturno e perso tra le sue ispirazioni, è con la giovane Nina che riesce a sfogare tutta la propria insoddisfazione e il suo continuo sentirsi mediocre. Tommaso Ragno riesce a rendere eloquenti i silenzi e scava a fondo nel suo personaggio, rendendolo davvero vivo. C’è Nina, che aspirava alla fama, ma la sua è una vita spezzata come quella del gabbiano, ferita dal cacciatore Trigorin che, dopo aver vissuto con lei un’avventura, «è tornato agli affetti di prima». Ma anche tutti gli altri personaggi che gravitano attorno a loro sono a loro modo infelici. Lo zio Sorin, di cui veste i panni Federico Vanni, a sessant’anni gli sembra di non aver mai vissuto, Masa è da sempre innamorata di Kostia e non riesce a dimenticarlo nonostante abbia sposato il maestro Semen. Maestro Semen che è a conoscenza di non essere amato dalla moglie e spera che si interessi di più al loro figlio. L’unico a sembrare appagato è il medico Evgeneij, immagine dell’autore e dello spettatore al tempo stesso, che coglie tutti gli spunti di riflessione che gli vengono offerti da ciò che accade intorno.
Per questa rappresentazione, Marco Sciaccaluga ha deciso di adottare una traduzione di Danilo Macrì dell’edizione precedente alla censura e quindi diversa da quella comunemente diffusa e messa in scena. Oltre ai tagli effettuati dal censore, di natura morale e sociale, come il riferimento alla vita dissoluta della madre o ai mendicanti ladri nella Russia zarista, vi sono tre grandi differenze molto interessanti. Forse volute dallo stesso Cechov o forse richieste dai registi, ad ogni modo in questo spettacolo il monologo di Nina viene recitato una terza volta, nel finale, accentuando quell’effetto di ripetizione tanto caro all’autore. Il gabbiano, inoltre, viene portato in scena da un Kostia muto, prima della nota scena in cui lo sbatte ai piedi di Nina: in questo modo la seconda volta che compare il simbolo dell’opera, il pubblico è meno stupito poiché l’ha già visto. Nel finale, infine, grottesca è la presenza dello zio Sorin addormentato durante il dialogo dei due giovani ex amanti.
Uno spettacolo da vedere perché ci lascia dentro qualcosa. Lo scopo del teatro è anche questo: far divertire, ma anche far riflettere e, quando cala il sipario, conoscere un po’ meglio noi stessi e la natura umana.
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Interpreti
Elisabetta Pozzi Irina Nikolaevna Arkadina, vedova Treplev, attrice
Francesco Sferrazza Papa Konstantin Gavrilovič Treplev, suo figlio
Federico Vanni Petr Nikolaevič Sorin, fratello di Irina
Alice Arcuri Nina Michailovna Zarečnaja, la giovane figlia di un ricco possidente
Roberto Alinghieri Il’ja Afana’sevič Ṧamraev, tenente in congedo, amministratore di Sorin
Mariangeles Torres Polina Andreevna, sua moglie
Eva Cambiale Maṧa, sua figlia
Tommaso Ragno Boris Alekseevič Trigorin, scrittore
Giovanni Franzoni Evgeneij Sergeevič Dorn, medico
Andrea Nicolini Semen Semenovič Medvedenko, maestro
Kabir Tavani Jakov, operaio
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Versione italiana Danilo Macrì
Scene Catherine Rankl
Costumi Catherine Rankl
Musiche Andrea Nicolini
Luci Marco D’Andrea
Produzione Teatro Stabile di Genova
Regia Marco Sciaccaluga