Frutto della sagace e intelligente perspicacia di Matthieu Delaporte e Alexandre de la Patellière (nati entrambi a Parigi nel 1971 e conosciutisi nel 1996), Le prénom è una pièce andata in scena per la prima volta a Parigi il 5 settembre 2010 con un successo straordinario (a cominciare dalle sei nomination al Prix Molière dell’anno successivo) che nel tempo si è moltiplicato in modo esponenziale anche in virtù dell’omonima versione cinematografica francese da parte degli stessi autori (uscita in Italia con il titolo Cena tra amici) e nel 2015 di un nuovo adattamento cinematografico di Francesca Archibugi intitolato Il nome del figlio.
È ora la volta di una ‘versione teatrale in italiano’ – tradotta da Fausto Paravidino e prodotta dal Teatro Stabile di Genova per la regia di Antonio Zavatteri – che sta raccogliendo notevoli consensi: infatti anche senza sapere nulla del pedigree dell’edizione originale, dopo un certo numero di minuti ci si accorge di trovarsi di fronte a un ottimo testo, a ottimi attori e a un’ottima regia.
Un incipit raccontato in modo simpaticamente disinibito da Vincent che presenta man mano tutti i protagonisti fino a scivolare elegantemente nel proprio ruolo di agente immobiliare dal ricco portafoglio e con una dose di ironico sfottò e cinismo nei confronti altrui condita da una serpeggiante ignoranza frutto di un’educazione tollerante e da una mancanza di rispetto verso tutti compresa la sorella (padrona di casa, insegnante liceale sposata con un professore universitario alquanto egocentrico) che lo ha invitato a una cena marocchina – preparata dalle sue operose e attive mani – insieme alla compagna in ritardo per un impegno di lavoro.
Una situazione apparentemente normale e abituale per un gruppo di amici affiatati e in antica sintonia: quarantenni appartenenti a una borghesia medio-alta con due coppie e un amico più timido, riservato e schivo che suona il trombone in un’orchestra sinfonica.
Tra una chiacchiera e una battuta s’insinua anche una bella, piacevole e gioiosa notizia che dovrebbe portare serenità, ma diviene, invece, una miccia che inizia a bruciare lentissimamente portando a galla antichi scontenti, disillusioni, rancori, insoddisfazioni, frustrazioni… sviscerati con una lucidità e razionalità degne del più abile psicologo e invece frutto di profonda e sofferta autoanalisi…
Sedata un po’ la tempesta, le coppie si rivolgono quasi come valvola di sfogo verso il quinto della compagnia, all’apparenza il più debole e mite: persona che diversamente da quanto appare ha una propria vita privata foriera di un’inattesa sorpresa… che metterà maggiormente in luce debolezze, meschinità, pregiudizi e rifiuto a comprendere l’altro se non la pensa e non agisce secondo i canoni di un aprioristico perbenismo.
Una pièce ben costruita, senza sbavature o eccessi, condita di sana ed equilibrata ironia che diverte e nello stesso tempo induce a riflettere su come sia inutile tollerare e subire, ma serva, invece, analizzare con equilibrio i rapporti interpersonali per liberarsi dai gioghi invisibili e intollerabili della sottile prevaricazione altrui: un sano divertimento vederla con la certezza che non annoierebbe rivederla.