«Maggior fortuna sarebbe, se in Italia ci fossero più toscani e meno italiani» scriveva, provocatorio e sincero, Curzio Malaparte in Maledetti toscani. Certo non siamo noti per la nostra umiltà, ma la storia ha visto nascere in Toscana molti tra i personaggi più noti, da Dante a Michelangelo, da Leonardo a Galileo. Marco Messeri, per il suo nuovo spettacolo dedicato alla propria regione, si ispira al sarcasmo di Malaparte nel dare il nome a quella che pare una ricerca delle origini dello spirito toscano. Quello spirito che, qualche anno dopo Maledetti toscani, si ritrova nell’opera dello stesso autore pratese Benedetti italiani – e l’accostamento dei titoli basta a renderne l’idea. Messeri mette a fuoco il periodo del Rinascimento, di cui Firenze è regina, prendendo in prestito le parole da due dei poeti più celebri dell’epoca: il Burchiello e Lorenzo il Magnifico. Meno noto del secondo ai giorni nostri, il primo era un barbiere di via Calimala, la cui bottega era frequentata da artisti e politici fiorentini. Scrisse poesie che definiva egli stesso “alla burchia”, cioè “alla rinfusa”, prendendo spunto da tutto ciò che gli veniva in mente e costruendo così versi comici che tendono quasi all’assurdo. Fu esiliato da Firenze da Cosimo il Vecchio, nonno del Lorenzo a cui Messeri lo accompagna. L’idea dell’attore e comico livornese di spolverare testi quasi perduti della tradizione lirica fiorentina e farli rivivere nella moderna arte del teatro-canzone ha tutte le carte in regola per risultare vincente e si presta ad essere un tentativo di recupero della poesia nel teatro. Lo spettacolo è però deludente nella sua realizzazione, complice forse il timbro di voce un po’ spento del protagonista, di cui si perde ogni tanto qualche sillaba, e complici le grosse aspettative che i personaggi citati creano. Peccato, perché Messeri sembra aver trovato una strada ancora poco battuta per avvicinare i profili dei libri di storia e di letteratura all’immagine viva del teatro e, attraverso questo, ai giovani sventurati lettori dei suddetti libri. E peccato perché vedere una certa continuità stilistica tra gli artisti di oggi e i loro antenati quattrocenteschi consolida proprio quella forte identità toscana che si vuole raccontare. Anche l’accompagnamento musicale – anch’esso scritto da Messeri e curato da Michael Supnick (tromba e trombone), Guido Giacomini (contrabbasso) e Vincenzo Lucarelli (pianoforte) – contribuisce al tono allegro e canzonatorio dello spettacolo, seguendo una tendenza che nelle ultime stagioni sta riscuotendo un discreto successo. Una tendenza che ha non pochi precedenti nella storia dell’arte recitativa e che si addice perfettamente alla poesia spensierata e sarcastica. La speranza è che il pubblico si sia lasciato stuzzicare dalla curiosità di conoscere meglio queste figure straordinarie del passato, trovando nei loro scritti in lingua fiorentina quell’identità, quello spirito, quell’esuberanza che ancora oggi si legge sui volti di chi passa da via Calimala, davanti alla fu bottega del Burchiello. «Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza»…