Tutti siamo stati bambini, tutti serbiamo ricordi che lungo il corso degli anni ci appaiono sfumati, incerti, talvolta perfino incomprensibili. Qualcuno (potrei dire tutti, ma concedo il beneficio del dubbio a chi possa presuntuosamente ritenersi esente) non è capace di dare una spiegazione agli eventi cruciali della propria infanzia, trovandosi così alla disperata ricerca di certi espedienti per ricostruire delle motivazioni valide a quella sequela di dolori irrisolti e dubbi insoluti.
La coproduzione dell’autore, regista e scenografo Nino D’Introna, appoggiandosi alla sua compagnia teatrale di Lione e alla Fondazione Casa Teatro Ragazzi e Giovani, è appunto rivolta a quegli adulti che sono stati bambini, a tutti coloro che guardando alla propria giovinezza scorgono alcune incongruenze con le proprie radicate convinzioni: già in scena al Teatro Astra di Torino lo scorso novembre e preceduto da un grande successo due fratelli, interpretati da Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci, fisicamente molto diversi probabilmente per soddisfare l’artificio dell’incredulità, raccontano il proprio trascorso comune a una platea distratta.
Come in sogno, la meraviglia prende il sopravvento sulla logicità degli eventi, le volute contraddizioni si dissipano infatti in un folgorante impianto registico che non lascia spazio ad altro che alla fascinazione: svettante sul palcoscenico, il paracadute bianco non si limita a rappresentare il personaggio assente del padre, la cui lontananza rappresenta l’iniziale trauma irrisolto con cui i protagonisti devono rapportarsi. Il paracadute, piuttosto, assume il significato dell’unico appiglio rimasto ai fratelli per cucire insieme gli episodi dell’agrodolce esistenza trascorsa insieme, dal momento della separazione dei genitori, agli anni del collegio per concedere alla madre sola di lavorare, alla scoperta dell’amore nell’ambientazione di una discoteca…
Il paracadute è un oggetto dalla funzione specifica, ma per gli attori adulti che si fanno interpreti di bambini esso assume valenze profondamente diverse. La vicenda si snoda su un palcoscenico vivacizzato da soluzioni registiche di grande ispirazione, attraverso un sapiente lavoro di illuminazione e accompagnamento musicale (Andrea Abbatangelo, Agostino Nardella e Patrick Najean) tenendo nascosta l’amara verità sino alla rivelazione: le confessioni dei due fratelli appartengono a un personaggio solo, illuso di aver vissuto in compagnia del fratello che in realtà ha vissuto soltanto sei mesi. Allo spettatore viene quindi affidato il difficile onere dell’interpretazione; per chi scrive, questa si risolve nel ricorso al fratello immaginario come a quell’espediente che possa motivare le esperienze di una vita che può sembrare ingiusta e spietata (forse, tuttavia, è un’interpretazione legata più alle esperienze di chi scrive che all’obiettività del testo).
Così lo spettatore è chiamato a immedesimarsi nel difficile e talvolta doloroso sguardo alla propria infanzia, facendo leva sull’universalità di una condizione a cui nessuno può essersi sottratto. Non è ancora psico-dramma, perché Paracadute attenua le malinconie condivise da personaggi, interpreti e spettatori con uno spettacolo visivo di sicuro impatto, “distraendoli” dal messaggio di fondo; ma non si può negare il sicuro coinvolgimento emotivo di ogni bambino divenuto adulto nell’assistere a uno spettacolo che mette in mostra la difficoltà di metabolizzare un vissuto complicato, di attutire l’urto della caduta nel guardare al proprio vertiginoso passato (è forse questo il vero significato del titolo?).
Con questo testo D’Introna riesce ad unire le esperienze di platea e palcoscenico, raccontando la paura e il desiderio di volare di ogni bambino, la costante universale del desiderio di libertà. Per lo meno, questa è stata l’interpretazione di chi scrive, riconosciutosi nel brivido che attanaglia il protagonista non-più-bambino: ed è questa capacità di immedesimazione, solo apparentemente nascosta dietro i veli di uno spettacolo visivamente entusiasmante, a commisurarne il valore effettivo.
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Paracadute – Parachute
Testo, regia e concezione visiva di Nino D’Introna
con Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci
Musiche di Patrick Najean
Luci e audio Andrea Abbatangelo e Agostino Nardella
Costumi Robin Chemin
Tecnico di palco Sara Brigatti