Un naufragio solo evocato, le voci concitate di chi si è salvato, la scoperta di essere ancora vivi e la possibilità di potersi riabilitare e far pace con sé stessi.
Questo l’incipit e il fulcro de L’isola degli schiavi, commedia francese scritta nel 1725 da Marivaux per i Comici italiani di Parigi, ora in scena al Piccolo Eliseo di Roma.
Gli spazi ridotti del palco si adattano all’essenzialità di un allestimento che punta soprattutto alle parole e al senso ultimo del significato: un piccolo praticabile girevole diventa il fulcro scenico dell’intera commedia abilmente ridotta e adattata Ferdinando Ceriani, anche regista, e Tommaso Mattei.
Sulla scena un abile quintetto di attori: Stefano Fresi (ormai lanciatissimo anche al cinema) e autore anche delle musiche di scena che accompagnano con delicatezza ogni momento, nel ruolo del Conte Ificrate. Accanto a lui la serva Silvia di Carla Ferraro, la più brillante nei monologhi e rancorosa e vendicativa nel confronti della sua padrona, la marchesa Eufrosine interpretata da una Ippolita Baldini monocorde. Un po’ sopra le righe Giovanni Anzaldo nel ruolo del buono, ma sciocco Papele, servo del Marchese, autorevole quanto necessario Carlo Ragone nel ruolo del governatore Trivellino.
Tutto accade molto velocemente (poco meno di un’ora e mezza, molti ragazzi fra il pubblico) in un testo che viene di rado rappresentato: scritto nel 1725 parla di diversità e disuguaglianza sociale, ma senza inneggiare alla violenza che scatenerà la Rivoluzione Francese configurandosi come un testo sul razionalismo che difende la diversità di classe quasi limitandosi a recuperare il proprio ruolo e a far pace con sé stessi.
Certo, nessuna catarsi potrebbe verificarsi senza il provvidenziale naufragio che coinvolge una coppia di aristocratici accompagnati dai rispettivi servi abituati ad essere maltrattati e vessati in ogni modo.
Ma ciuscuno è totalmente inadeguato al proprio ruolo: anche agghindati da padroni, i servi non riescono ad essere diversi da come sono e tutti hanno necessità di tornare al proprio, indissolubile status.
“Nessuno è più schiavo di chi si considera libero senza esserlo” parole illuminanti quelle del governatore Trivellino anche perché l’isola degli schiavi intende ristabilire la giustizia invertendo i ruoli e aiutando ciascuno a recuperare la propria coscienza per rispettare l’altro: i servi nel ruolo di padroni impareranno a superare il desiderio di vendetta e di rivalsa perdonandolo, i padroni impareranno a rispettare i loro servi pentendosi del loro comportamento.
Un apologo morale che finisce senza violenze, didascalico e pedagogico per imparare a pentirsi dei propri errori purché alla fine tutto torni come prima. Ma è solo l’utopia vagheggiata da Marivaux. Ben prima della Rivoluzione Francese e dello stesso Beaumarchais non altrettanto tenero nei confronti dell’aristocrazia nelle sue Nozze di Figaro, spiccatamente rivoluzionario.
Ottima occasione per rivedere e apprezzare un testo poco conosciuto, ma illuminante. In scena fino al 9 aprile al Piccolo Eliseo di Roma, info, www.teatroeliseo.com e www.vivaticket.it.