Una drammaturgia che comunica alla platea attraverso cornici, a vestire una grande varietà di personaggi: una narrativa molto attuale, delineata attraverso filtri simili a quelli quotidianamente applicati a identità che comunicano (e si comunicano) attraverso schermi. Può sembrare paradossale, ma l’estrema versatilità dell’unica attrice in scena – la talentuosa Silvia Elena Montagnini, riesce a comunicare l’apertura delle protagoniste a dispetto delle cornici che lasciano intenzionalmente vedere soltanto uno spaccato delle molte personalità.
Quella che sembra una contraddizione, tuttavia, si rivela un abile espediente registico: Bobo Nigrone, regista e autore di Dolcemiele insieme alla Montagnini, traspone in teatro il testo del romanzo Matilde di Roald Dahl, assolvendo al difficile onere di portare in rilievo la “bidimensionalità” della carta stampata – la narrativa è già di per sé un “ritaglio” della realtà, una cornice – affidando lo svolgimento della vicenda alle prospettive delle comparse, entro una narrazione corale spesso impreziosita da soluzioni di avanspettacolo.
I molti personaggi che introducono i fatti del romanzo offrono altrettanti punti di vista quante sono le cornici che li caratterizzano: la caparbia manifestazione di intelligenza di Matilde, bambina che comincia la scuola già capace di leggere e contare nonostante provenga da una famiglia affatto stimolante, entra in relazione con la difficile situazione personale della maestra Elisabetta Dolcemiele. Agli occhi degli altri, il sodalizio tra Matilde e Dolcemiele appare ora invidiabile, ora vergognoso, eppure sempre coerente allo spettatore svezzato dallo schermo della televisione – che domina il contesto culturale in cui scrisse Dahl – e dagli schermi di computer e smartphone.
Raccontata come un collage di sguardi esterni, la storia assume i connotati di uno storytelling “partecipato”, una testimonianza plurima degli accadimenti che portano al duplice lieto fine dell’indipendenza di Matilde, nei confronti della propria restrittiva famiglia, e della soluzione dei guai di Dolcemiele. Vi si legge un’idea delle cornici come metafora delle caratterizzazioni pretese da ognuno nel presentarsi al mondo dei social networks, ammonendo circa l’inevitabile appiattimento di sé che deriva da un eccessivo “incorniciamento”.
Già nell’opera di Dahl tale indesiderabile eventualità mostra gli effetti nei personaggi della famiglia di Matilde, vittime degli agi di un’epoca dominata da televisione e grande distribuzione; ricorrendo alle cornici, il lavoro di Montagnini e Nigrone estende il monito all’età digitale, precisando però che un loro utilizzo consapevole possa stimolare quella partecipazione collettiva che può dare rilievo e spessore a una vicenda osservata dall’esterno.
Per le due protagoniste le cornici assumono infatti il valore di una condizione sfortunata, ed è proprio questa loro comunanza a diventare occasione per sostenersi a vicenda, sovrapponendo le rispettive cornici.
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Dolcemiele – Un racconto a quadri
di Silvia Elena Montagnini e Bobo Nigrone
con Silvia Elena Montagnini
Regia di Bobo Nigrone
Scenografia di Lisa Guerrini, realizzata in collaborazione con gli studenti dell’Accademia Albertina di Torino