Si è chiusa domenica 2 aprile con la proiezione di una pellicola storica come “Una Vita Difficile” di Dino Risi (corredata da una serie di corti originali) la terza edizione del Festival LA CULTURA DEI LEGAMI, ideato e diretto da Edoardo Oliva, ed ospitato presso l’Auditorium Petruzzi di Pescara.
“L’Erranza: le comparse” è il titolo di quest’ultima edizione, in riferimento alla linea tematica che ha unito i quattro spettacoli proposti attorno alla ricorrenza di protagonisti anti-eroici, dimenticati, talvolta perdenti. Oppure semplicemente ordinari, ma portatori di ferite camuffate sotto una patina di normalità solo apparente. In questo modo, il festival ha accompagnato un pubblico gremito ed affezionato nel passaggio dai rigori invernali alla schiusura della primavera, lungo quattro appuntamenti domenicali, arricchiti da due incontri dedicati al cinema, selezionati sempre in coerenza con il tema centrale (completa il cartellone la proiezione di Viaggio a Tokyo di Yasujiro Ozu).
Ha inaugurato la rassegna Saverio La Ruina, pluripremiato attore e fondatore del festival Primavera dei Teatri, proponendo il suo ultimo spettacolo “Masculu e Fiammina”, fresco del debutto al Piccolo di Milano. I legami su cui il lavoro di La Ruina focalizza lo sguardo sono quelli famigliari, che come spesso capita sono al centro di meccanismi che riguardano il rapporto con la propria identità e con l’ambiente circostante. L’attore ed autore si appoggia sulla genuinità di una lingua quasi del tutto prossima al dialetto calabrese, che però non respinge la fruizione dello spettatore medio. Ma la lingua è anche proiezione della micro-società in cui è calata la vicenda del protagonista, il cui racconto è quello dell’apprendistato di un giovane maschio meridionale che progressivamente scopre la propria omosessualità, fino a giungere ad una serena ed illuminata comprensione anche delle resistenze culturali più reazionarie.
Se la prova di La Ruina si segnala per la delicatezza dell’approccio, il secondo spettacolo della rassegna sceglie una prospettiva forte, quanto più possibile priva di consolazioni. Parliamo di “Milite Ignoto – quindicidiciotto” di Mario Perrotta, secondo capitolo del Progetto “Grande Guerra” dedicato al primo conflitto bellico mondiale, nonché spettacolo che è valso all’attore salentino la finale ai Premi Ubu nel 2015 (dove per altro ha conseguito il Premio della Critica e quello per il Miglior Progetto con la trilogia dedicata alla figura del pittore Ligabue). “Milite Ignoto – quindicidiciotto” incastra perfettamente la tematica delle comparse, fornendo voce ai soldati di trincea coinvolti come massa anonima nella Prima Guerra Mondiale. L’affabulazione di Perrotta procede con una alternanza di sguardi ora ingenui ora crudi sullo sviluppo di un evento di portate così poco immaginabili dalla percezione della popolazione comune. Anche in questo spettacolo la lingua diventa strumento di manipolazione a cui l’interprete affida buona parte della composizione: Perrotta crea una multilingua nazionale, cucita per sovrapposizioni nervose tra i vari dialetti, dando forma -tassello dopo tassello e parola dopo parola- ad un unico narratore, in grado di racchiudere in sé un intero popolo di diverse italianità.
Il percorso del festival ha quindi collocato nella sua metà la proposta di una prima. Parliamo di “Gyneceo” ultima produzione della compagnia pescarese Teatro Immediato, a cui si deve tra l’altro l’organizzazione del festival. Con “Gyneceo” di Vincenzo Mambella per la regia di Edoardo Oliva si opera un passaggio netto di prospettiva sul mondo femminile, dopo la riflessione sul gender contenuta nel lavoro di La Ruina e la maschilità frammentata, sovra-individuale proposta da Perrotta. Il luogo cui allude il titolo è una cucina dismessa dove si ritrovano come vecchie amiche tre donne (Maria Pia Di Domenico, Tiziana Di Tonno e Valeria Ferri), che mostrano di conoscersi approfonditamente pur appartenendo a tre diverse generazioni. Gesti semplici, carichi di antica sapienza, che stimolano racconti non solo ameni e persino confessionali, sembrano instradare ad un lavoro prevedibile. Ciò che non è prevedibile è il punto di svolta contenuto nella seconda parte, che oltre a veicolare svelamenti e sciogliementi di intreccio rivela la funzione strumentale di depistaggio costituita dalla prima metà dello spettacolo.
La tetralogia delle comparse incontra il punto di raccordo conclusivo -oltre che il suo vertice alto- in “Caprò”, la produzione precedente di Teatro Immediato, spettacolo long-seller capace di restare in cartellone per più di tre mesi con presenze da tutto esaurito costante, tanto da raggiungere il prestigioso invito alla prossima edizione di Primavera dei Teatri. Come con “Gyneceo”, la drammaturgia di Vincenzo Mambella si sofferma sui legami famigliari, alla ricerca di strappi e naufragi che alimentano destini tragici privati. Torna in “Caprò” la lingua semplice e “sporca” del popolo più umile che ha caratterizzato i lavori di La Ruina e Perrotta, sospesa invece in “Gyneceo”, e sostenuta in scena dalla prestazione superlativa di Edoardo Oliva. Ciò che distingue principalmente quest’ultimo spettacolo in rassegna è l’equilibrio drammaturgico per cui il mondo richiamato dalla lingua dialettale non assume i connotati di una bonaria semplicità ormai perduta, mostrandosi per contro come quel meccanismo di approssimazioni comunicative ed affettive che producono tragedie soffocate, senza testimoni altri se non quello ultimo del narratore teatrale. Al contempo, lo spettacolo fornisce la dimostrazione più plastica di come un testo ricco di chiaroscuri possa uscire dalla sufficienza delle convenzioni teatrali solo quando viene riempito dal lavoro attoriale rigoroso, dove la lucentezza del talento viene trasformata in illuminazione e luce da una sorveglianza etica del lavoro medesimo.
Festival LA CULTURA DEI LEGAMI (L’Erranza: le comparse)
direzione artistica Edoardo Oliva
12 febbraio/2 aprile 2017
Auditorium Petruzzi, Pescara
Organizzazione Teatro Immediato
in collaborazione con Museo delle Genti d’Abruzzo (Pescara)