Due opere liriche che di solito non vengono portate in scena insieme rappresentano la nuova sfida del Comunale di Bologna, che vede lavorare a quattro mani il direttore d’orchestra Michele Mariotti e la pluripremiata regista Emma Dante.
“La voix humaine” è un atto unico musicato nel 1958 dal compositore Francis Poulenc su libretto di Jean Cocteau, adattato dall’omonima piéce. Protagonista della scena la cantante Anna Caterina Antonacci: degnissima interprete di una fragile donna che cerca di comunicare con il suo uomo, interrotta più volte dal pessimo funzionamento delle linee telefoniche della Parigi del tempo. Emma Dante traspone l’ambientazione della vicenda in quello che a primo acchito sembra essere la stanza di un hotel, ma si trasformerà man mano che l’incedere della “follia” della donna si farà chiara al pubblico, diventando la stanza di un ospedale psichiatrico con tanto di cartella clinica, flebo, pillole propinate da due inquietanti infermiere e visite di un medico freddo e incurante della paziente. Il procedere incalzante della vicenda è accentuato dalla musica, dalle telefonate interrotte, dai discorsi sempre più sconnessi della donna e viene reso scenicamente dal senso di oppressione dato dalle candide pareti che si restringono fino a non lasciare alcuna via di uscita, non solo metaforica. In scena con la Antonacci personaggi fluttuanti, morbide rappresentazioni della donna e dell’amato, ma anche dell’amante di lui: sono figure eteree, vestite di rosa a simboleggiare tempi felici ormai andati, frutto dei momenti evocativi che la protagonista descrive confondendoli, raccontando il tentativo di suicidio e mostrandosi infine del tutto debole e vulnerabile. Degne di lode non solo la spiccata padronanza vocale di Anna Caterina Antonacci ma soprattutto la sua interpretazione assolutamente coerente con il personaggio e la sua forte presenza scenica.
Seconda opera del dittico, “Cavalleria rusticana” rappresenta il capolavoro di Pietro Mascagni, che la musicò nel 1890 su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci tratto dalla novella di Giovanni Verga. Ambientata nella Sicilia rurale dell’epoca, l’opera ben racconta atmosfere e situazioni sociali e storiche scomparse da tempo ma ricreate dalla regia di Emma Dante in maniera intelligente e originale. Punto focale della rappresentazione la simbologia di matrice cristiana: un quadro scenico rappresenta la Via Crucis con la Madonna che, disperata insieme a due donne, accompagna il martirio di suo figlio, un Cristo (non a caso) di colore. Spettacolare la scena della processione, con la croce illuminata da tante lucine sotto la quale si radunano il coro e le due donne preoccupate per il destino di Turiddu: la madre Lucia (Claudia Marchi) e Santuzza (Carmen Topciu), povera giovane tristemente innamorata dell’uomo che si diverte alle sue spalle con la bella Lola (Anastasia Boldyreva). Turiddu (Marco Berti) e Alfio (Gezim Myshketa), i due protagonisti maschili, simili per stazza e presenza scenica, reggono bene l’interpretazione soprattutto nella scena della sfida a duello. Unico elemento allegorico che rimanda alla Sicilia del tempo il carretto siciliano guidato da quattro cavalli interpretati da quattro ballerine impennacchiate e scalpitanti.
Di grande impatto la scena conclusiva con la ricostruzione scenica del celeberrimo “Compianto sul Cristo morto” locale di Niccolò dell’Arca.