“Ho scritto questo libro per un attore, Eugenio Allegri, e un regista, Gabriele Vacis. Loro ne hanno fatto uno spettacolo che ha debuttato al festival di Asti nel luglio di quest’anno”.
Era il 1994 e nelle librerie usciva un libro, scritto da Alessandro Baricco, che portava questa prefazione.
Il libro si chiamava “Novecento. Un monologo”, e negli anni che sono trascorsi da allora, più di 120.000 spettatori hanno ascoltato questo testo in teatro, senza contare tutti coloro che lo hanno acquistato in libreria e/o che hanno visto il film di Giuseppe Tornatore (Il pianista sull’oceano).
Ma sentirlo dalla bocca del protagonista “designato” dall’autore – Eugenio Allegri – è senza dubbio un’altra cosa.
La differenza ha a che fare con l’interpretazione, la mimica, l’incredibile capacità di essere canoro pur senza cantare. Il suono del jazz fatto parola, un’onomatopea musicale.
Riuscire ad infondere una forza tale ad un monologo non è cosa semplice. Baricco le storie le sa scrivere e Allegri le sa raccontare, ma dall’unione dei due è scaturito qualcosa di lirico ed incredibilmente intenso.
Sembra proprio di vederlo davanti a sé, questo pianista nato e cresciuto sul transatlantico Virginian, sembra di sentire le sue dita su quella tastiera, di respirare la musica del suo pianoforte che ondeggia sull’oceano.
Ma anche di aver ascoltato, attraverso le sue orecchie, i racconti delle migliaia di passeggeri, di un mondo che non ha – che non abbiamo – mai visto, perché nessuno può conoscerlo così come chi l’ha vissuto tramite le parole.
E proprio in questa metafora è racchiuso il senso profondo di questo spettacolo, il senso della letteratura e del teatro, di quelle storie che ci fanno viaggiare, conoscere, emozionare, pur senza alzarci dalla sedia, dalla poltrona, dal divano. Pur senza scendere mai dal nostro transatlantico.
Esattamente come Novecento gira il mondo senza scendere mai da una nave noi, in sala, viaggiamo assieme a lui nel tempo e nello spazio, a bordo di un mondo scomparso, intriso di poesia, di musica, di suggestioni potenti.
Grazie ad Allegri che non si risparmia per un attimo, mostrando una forza interpretativa fuori dal comune, ballando, urlando e sussurrando su un copione che è quasi uno spartito, con una regia che è quasi una concertazione.
A fine spettacolo il pubblico è in delirio: standing ovation per Allegri che, alla quinta uscita, chiedere gentilmente di smettere: “so che non bisognerebbe mai fermare gli applausi, ma qui non si va più a casa”.
Insomma, se siete a Milano in questi giorni, lasciate qualsiasi altro impegno e andate a vedere Novecento ai Filodrammatici. Uscirete dalla sala con il ricordo di un’esperienza intensa e potente, di quelle che capitano raramente.
La recensione si riferisce alla recita di mercoledì 29 marzo.