All’occhio spetta la prima impressione: il palcoscenico è statico ma non vuoto, poiché riempito dalla grande scenografia realizzata dall’Accademia Albertina di Belle Arti. Cartonati suggestivi rappresentano un paesaggio rurale, tirato verso l’altro in forma elastica: affascinante, certo, ma indubbiamente banale.
Dopo il canonico ingresso della piccola orchestra, facendosi strada in questa ambientazione surreale, l’unico interprete si affaccia timidamente dalla quinta trascinando con sé una valigia: Enrico Dusio introduce al pubblico uno spettacolo scritto da Sergej Prokof’ev nel 1936, e pensato fin da subito come un’alternanza di musica e narrazione. La scenetta inaugurale di Dusio gioca appunto sulla rivalità tra la sua voce narrante e l’orchestra, cercando la complicità di una platea di giovani e giovanissimi ma non solo, “loro suoneranno qualcosa per conto loro, io racconterò una cosa per conto mio!”
“No, è tutto sbagliato!”, si leva una voce infantile dagli spalti, ingenuamente convinta che lo spettacolo sia destinato a dividersi nettamente in due. Dopo le dovute rassicurazioni, il gioco dell’abbinamento di ogni personaggio a uno strumento musicale presenta il meccanismo alla base dell’opera di Prokof’ev; quindi, a inizio spettacolo Dusio rivela la sua effettiva bravura attoriale, particolarmente nell’interpretazione del nonno, costretto in un angolo del palco mentre i musicisti si accaparrano il grosso dei riflettori.
Purtroppo, vien da dire, perché la voce narrante non si limita a fungere da didascalia per il linguaggio musicale, e nonostante il racconto e la musica si alternino le circostanze impediscono all’attore unico di riempire lo spazio scenico che gli viene anzi rubato ogni volta che uno strumento esala il suo soave sospiro.
A peggiorare le cose anche gli oggetti di scena, come la scenografia, non possono rendere giustizia a un concerto che non avrebbe affatto bisogno di aggiungere alcun artificio alla sola, incantevole musica. Soprattutto considerando a quali meraviglie visive ci avesse abituato la rassegna della Casa Teatro Ragazzi che va concludendosi.
È tutto sbagliato!, la puerile protesta avrebbe potuto ripetersi, perché forse non era neanche troppo fuori luogo, ma l’ovazione non manca: e non può mancare, perché se il magnetismo della musica ha saputo esercitare il proprio sicuro effetto, una sua traduzione in racconto è risultata fondamentale perché a una platea composta in larga parte di bambini fosse concesso il privilegio di empatizzare con il coraggioso Pierino. A chiusura dello spettacolo, i bambini vengono chiamati a dirigere l’orchestra “per finta”, accorrendo in massa: come Pierino ha avuto il coraggio di affrontare il lupo, anche loro imparano ad affrontare l’imbarazzo, l’insicurezza e forse perfino la paura di salire su un palcoscenico e darsi in pasto agli occhi famelici di un pubblico, di acquisire coscienza delle proprie azioni?
Forse l’occhio di uno spettatore svezzato dagli anni avrebbe da lamentare un’esperienza meno avvincente di quella spettata all’orecchio. Ma per i bambini, i veri destinatari di questo spettacolo, l’esperienza non poteva limitarsi al solo incanto per la stupenda composizione russa.
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Pierino e il lupo
Voce recitante di Enrico Dusio
Scenografia a cura degli studenti del laboratorio di Teatro di Figura dell’Accademia Albertina di Torino
Orchestra del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino
Direttore Antonio Valentino
violino Andrea Maffolini
violino Tina Vercellino
viola Gabriele Totaro
violoncello Ada Guarneri
contrabbasso Ziya Can Sarisen
clarinetto Davide Goean
flauto Elisa Maccarrone
corno Gregorio De Maria
oboe Andrea Postiglione
fagotto Luca Vacchetta
pianoforte Alessandro Camarda
percussioni Davide Tonetti