“Benvenuti nella nostra selva oscura”.
Inizia così lo spettacolo-concerto di Vinicio Capossela al Teatro Verdi di Firenze.
“L’Ombra è come una grande scatola in cui abbiamo buttato fin da bambini le cose che abbiamo temuto di mostrare”.
Si abbassano le luci e si apre il sipario, l’Ombra scende sulle sedute della platea, entra nei palchi ad ogni altezza, accarezza le facce degli spettatori e ci accompagna sulle cupe note dei nuovi brani del pluristrumentista e cantautore d’origini irpine.
Il nuovo album parla proprio di quei paesi dell’alta Irpinia, zone di una Campania abitata dai genitori prima della nascita dell’artista, una terra oscura, ancestrale, traboccante di storie e miti tramandate di bracciante in bracciante.
“Ombra, Canzoni della Cupa e altri spaventi” si divide in due parti, due metà di un unico insieme, il bianco e il nero che non danno mai il grigio, l’aridità della vita campestre si mescola con il caldo di mezzogiorno e la notte buia e misteriosa di animali mitologici e creature sconosciute e premonitrici: la “polvere” e l'”ombra”, la prima parte incisa quasi totalmente nel 2003 e portata in scena nel tour estivo passato, e la seconda prodotta invece tra il 2014 e il 2015, ospite quest’anno di numerosi teatri italiani.
Avvolti dall’oscurità della enorme sala del Teatro Verdi inizia il viaggio. Tra i nuovi e vecchi testi di Capossela, tra giochi d’ombra e luci proiettate su specchi che riproducono fantasmi, il concerto diventa racconto, poesia, spettacolo teatrale con il musicista che traghetta le anime degli affascinati spettatori verso zone cupe del nostro incoscio.
E’ una riscoperta della tradizione e dell folklore della notra penisola italica, attraverso l’esumazione di antichi miti e proverbi.
Il risultato è ottimo, un’opera mondo, una sorta di “romanzo della terra”, ed è inevitabile ad un ascolto attento (l’unico tipo di ascolto attraverso il quale è possibile cogliere la complessità dei lavori di Capossela) cogliere collegamenti narrativi sotterranei, parallelismi e rimandi interni, pillole di mitologia greca tra canti di sirene e rabbia di Minotauro e ciclopi, tributi a maestri come Ennio Morricone e Renato Carosone.
La standing ovation finale è obbligatoria davanti ad un lavoro così minuziosamente preparato, di fronte ad un’opera che, oltre alla musica partorita da musicisti eccellenti, regala perle letterarie nel dialetto del nostro passato, il fascino della rappresentazione teatrale, un tuffo nella scatola nera della nostra anima, quel posto dove annidano paure, segreti, demoni con cui bisognerebbe combattere per riporre in noi altra luce.