di: Samuel Beckett
con: Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, Fabrizio Bordignon e Beniamino Zannoni
scene: Francesco Bottai
costumi: Lorenzo Cutùli
regia: Maurizio Scaparro
produzione: Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano
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Il teatro dell’assurdo va in scena alla Pergola.
Una scenografia minimale ed un’ambientazione desertica (ideate e realizzate da Francesco Bottai) sono il luogo in cui le azioni, le situazioni ed i discorsi surreali di “Aspettando Godot” si susseguono nella loro essenza tragi-comica.
Il testo di Samuel Beckett, scritto nel 1950, è forse il principale esponente di questo genere, che scardina le regole della drammaturgia classica e razionale, affidandosi ad azioni apparentemente senza significato ed a dialoghi ripetitivi e serrati capaci comunque di suscitare il sorriso, nonostante il senso tragico del dramma. Così, Vladimiro ed Estragone (Antonio Salines e Luciano Virgilio), trascorrono il loro tempo vicino ad un albero, su un altopiano, aspettando. Queste due figure, questi due barboni, teneri e quasi familiari, nascono dalla curiosità e dal fascino che rivestono per Beckett i vagabondi, gli erranti in generale: egli li rese protagonisti di diverse sue opere poiché rappresentano la condizione umana in tutte le sue sfaccettature: ogni uomo che si interroga, si pone delle domande, aspetta “un Godot”, un quid che non ha una connotazione universale, ma può incarnare Dio, così come una semplice risposta, un qualcosa o un qualcuno che riveli il senso del tutto od il senso di un momento, che indichi il perché della nostra vita e delle nostre sofferenze, il perché dell’esistenza stessa. Filo conduttore della prosa beckettiana, infatti, è la solitudine dell’uomo moderno: un uomo che ha perso Dio, che si trova senza riferimenti, in una condizione di totale rassegnazione, ignoranza e impotenza, di mancanza di comunicazione. Così la nostra condizione esistenziale di uomini ci impone l’eterna attesa con la sola consapevolezza della nostra infinita piccolezza di fronte alla vastità del cosmo.
Nella loro attesa, Vladimiro ed Estragone incontrano Pozzo e Lucky (Edoardo Siravo e Fabrizio Bordignon) un padrone istrionico che tiene al guinzaglio il suo servitore: una misera condizione di sottomissione e subordinazione al padrone, che nega al servo anche la libertà di pensiero, se non in un breve momento nel quale Lucky delizia il pubblico con un delirante, ma erudito, monologo. Un’incarnazione del diavolo e della concretezza del presente.
Godot non giunge, dunque; né alla fine del primo atto, né alla fine della pièce: ed è questo il fulcro della storia. Godot è qualcosa che aspettiamo e non sappiamo definire, che vorremmo ma che non siamo capaci di desiderare; è un’entità astratta così come lo sono i due poveri vagabondi. Una coppia indissolubile, intrigante ed attraente; la certezza della loro impossibilità di separarsi, la certezza delle loro convinzioni, la luna in cielo come ideale positivo e splendente a cui rivolgersi, lasciano anche lo spettatore nell’attesa di Godot, ma con la piccola speranza che stia per arrivare. Magari appena lascia la platea, magari appena esce dal teatro, Godot arriverà. E non un Godot qualsiasi.