Ci sono sogni che più di altri custodiscono il senso della vita e impreziosiscono la fugacità del suo fluire nell’atto di catturarne la linfa e di esplorare arditamente fin nell’intimo la ricchezza dell’effimero. Ci sono sogni muti e tormentati che si infrangono disperati sugli scogli dell’esistenza nel vano anelito di libertà, soffocati in un tenero, estremo gesto che li sottragga alla gogna dell’inconsistenza e del sospetto. Il mito di Icaro che affronta l’ignoto oltre il limite e si ribella a Procuste è l’eterna sfida dell’uomo, epica e suggestiva, alla pigra e soffocante rassegnazione. Dopo avere esordito quest’anno al teatro Smaldone di Roma, la Compagnia teatrale ‘Rumori di scena’ di Luana Maria Petrucci ripresenta il proprio adattamento scenico di ‘Foglie d’erba – L’attimo fuggente’ al Teatro Imperiale di Guidonia la sera del 5 maggio, nell’ambito della rassegna Teatro Festival Città. Si tratta di una kermesse giunta alla 12^ edizione che propone un teatro quasi sempre d’essai, quindi di interesse culturale, a torto definito amatoriale, e che conferirà il Premio Corvo d’oro 2017 alle proposte e agli interpreti in gara ritenuti meritevoli di segnalazione. ‘Foglie d’erba’ è un dramma teatrale ispirato al film di Tom Schulman ‘L’attimo fuggente’ (“Deaths poets Society”), prodotto nel 1989, diretto da Peter Weir e magistralmente interpretato da Robbin Williams. Il titolo richiama la raccolta di poesie di Walt Whitman che comprende «O Captain, My Captain», appellativo con cui il lunatico e geniale protagonista, professor Keating, amava farsi chiamare dai suoi studenti. È la delicata storia di un legame appassionato, complice e struggente e va ben oltre il consueto, distaccato confronto dialettico che si instaura tra insegnante e allievi. In un crescendo giocoso di libere pulsioni sconvolge gli equilibri in essere, inonda di giovanile entusiasmo le fragili menti, le espone ad inopinata sorte e si tinge di malinconia nella drammatica elegia che chiude l’opera. Una vicenda ambientata alla fine degli anni ’50 in un esclusivo, rigido collegio maschile di un’America conservatrice e puritana, percorsa ancora da circospetto, isterico maccartismo. I temi che la narrazione affronta sono universali e attuali sempre, in ogni epoca e sotto ogni latitudine. Lo scontro generazionale che lacera energie e non attenua i dubbi, l’autoritarismo dominante che logora e lentamente uccide, la solidarietà e l’amicizia, l’amore acerbo e autentico, la stima e il rispetto, la diversità e le differenze che arricchiscono anziché discriminare, la fame di conoscenza da coltivare, il coraggio delle scelte consapevoli e importanti che sole consentono di ‘succhiare il midollo’ della vita. Seguire la propria strada, andare oltre le percezioni e i luoghi comuni, salire metaforicamente, e non solo, in cattedra per innalzarsi ed ampliare gli orizzonti può comportare dei rischi ma rende straordinaria, unica e inconfondibile la vita, degna di essere percorsa fino in fondo. La disubbidienza, quando non prescinde dal rispetto delle regole del gioco e l’obiettivo è altamente premiante, non è un atto di insubordinazione ma esalta e predispone alla crescita interiore e alla riforma di assetti inadeguati. Keating è un insegnate di letteratura trasferito a ‘Welton’. La singolarità del suo metodo, lontano da dimostrazioni di arido stampo cattedratico, consiste nel fare apprendere per poi consegnare ai propri discepoli la formula della bellezza della vita che l’attenuato ‘carpe diem’ oraziano esalta e compendia. Abbandonata ogni elucubrazione scolastica, i ragazzi seguono alla lettera le indicazioni di Keating. La poesia è l’espressione più compiuta dell’anima, è il sentimento rivelato, eppure condensato sovente nei libri di testo in puro esercizio di stile, ridotto ad elemento geometrico, ingabbiato in formali strutture ritmiche. Quelle pagine vanno strappate e mai ordine perentorio poteva risultare più lieve. La poesia come arte sublime confligge con gli insegnamenti di quel collegio conservatore che addestra le future classi dirigenti al pragmatismo e al profitto ma le teorie di quell’insolito professore sanno di anticonformismo navigato, hanno un profumo che contagia e abbattono ogni diffidenza. La clandestinità che Keating aveva praticato da ex allievo, affiliato della ‘setta dei poeti estinti’, è per quei ragazzi appena iniziati strumento di appartenenza e di riscatto, come per qualcuno l’arte della recitazione diverrà la sola àncora di salvezza a cui affidare un talento precoce che rischia di essere estirpato. Lo spettacolo di fine corso premia l’interpretazione attoriale del giovane Neil (nell’adattamento teatrale è Jane Perry, interpretata da Gaia Piatti) in conflitto col padre che gli aveva intimato di lasciare la compagnia e, inascoltato, gli aveva quindi comunicato l’intenzione di iscriverlo all’accademia militare. Neil è preda del proprio irrisolto. L’ingombrante figura paterna non gli concede scampo. Il tempo per i futuri managers deve connotare una qualità misurabile col profitto, mentre l’arte, sia essa poesia, teatro o qualsiasi altra autonoma espressione spirituale, sentimenti compresi, non genera prestigio né potere, rappresenta una inutile, astratta forma che appartiene al superfluo e va censurata. Il presente che Neil vede non prospetta futuro. Il giovane non avrà dentro di sé l’equilibrio necessario per dare il giusto valore alla propria vicenda personale e si lascerà naufragare. Rovescia infine l’equazione di Keating che nel momento decisivo non ha gli strumenti di persuasione convincenti ma soprattutto non è, colpevolmente, in grado di intuire e prevenire la tragedia che incombe. La bugia di Neil poteva essere prevista. È il limite invalicabile di un uomo dannatamente solo. Non riuscirà a salvare il ragazzo. Lui, generoso e instancabile, il maestro bonario, integro e misurato che sapeva ascoltare e trasmettere coraggio e autostima, che predicava lotta ma non becera insubordinazione, vedrà vanificata la sua fede incondizionata nell’uomo dal gesto stupido e sconsiderato di un alunno prima (nell’adattamento è Charline Dalton, alias Flavia Lepizzera) e poi dal sacrificio estremo di Neil. Osteggiato dal direttore e dagli autorevoli membri dell’Accademia come trasgressivo e, di più, irriverente e dannoso, sarà quindi allontanato dall’istituto con l’accusa infamante di avere procurato la morte del giovane. La dimostrazione di affetto e gratitudine dei suoi ragazzi che salgono sui banchi seguendo Todd (Lili Anderson interpretata da Chiara Cecchini) e intonano per l’ultima volta «O Captain, My Captain» alla presenza del preside inviperito, è il tributo di riconoscenza di un equipaggio verso il proprio valoroso comandante che lascia la nave.
Il piacevole senso di smarrimento e benessere e, insieme, di pervasiva, a tratti accorata commozione che accompagna e segue la visione di ‘Foglie d’erba’ è come ruvida, persistente carezza, rassicurante quanto basta per stimolare desideri di inebriante metamorfosi. Un travolgente sconquasso che spalanca le porte del cuore e insinua edificanti propositi, quelli che suggeriscono di non indulgere a comodi traguardi privi di asprezze e di stimolanti stupori, di non accreditare i fautori di codici assoluti e ad ogni costo, di contrastare l’omologazione che paralizza e rende schiavi, di non cedere infine alle abitudini monouso che consolidano le prospettive e impediscono di rendere sorprendente e straordinaria la quotidianità della vita. Prendersi cura del proprio destino esorcizzando le naturali paure del confronto e i punti di vista edulcorati e accomodanti che inducono labili certezze e solide disfatte. È questo l’apologo che sottende la pièce: assecondare le proprie attitudini, i sogni, le ambizioni, i nobili ideali, cogliendo le opportunità che la vita profonde, non stravolgere un percorso che si intravede esaltante sacrificandolo ai sensi di colpa, alle frustrazioni, al rimpianto delle occasioni abdicate. Il rischio è la mortificazione dei sentimenti e della conoscenza, in nome di una mediocre rappresentazione di quello che non siamo e che non ci appartiene. A volte, per liberare e valorizzare propositi ed aspirazioni, per Essere, pienamente, anziché limitarsi ad apparire, occorrono Maestri solitari, guide illuminate e sicure, incompresi per definizione. Più spesso i comportamenti autoritari, i divieti nascondono negli atteggiamenti pervicaci di profeti ingannevoli e improvvisati, di patetici imbonitori di professione, pregiudizi consolidati, incapacità endemica di ascolto, rifiuto di comprendere diversità che atterriscono.
Un plauso alla ideatrice Luana m. Petrucci(Eddy), a Claudio Chiesa(Prof. Keating), all’affabulatore Andrea Abbafati e alle deliziose interpreti di ‘Foglie d’erba’: Gaia Piatti(è Jane Perry, versatile e dotata di magnetismo; una interpretazione maiuscola ), Chiara Cecchini(è la timida, insicura Lily Anderson, compagna di stanza di Jane. Si rivelerà il personaggio più dinamico dell’intera vicenda. Alla fine scoprirà il proprio destino. Superba), Flavia Lepizzera(è la sbeffeggiante, impertinente Charline Dalton, la più sfrontata del gruppo, iresistibilmente attratta dal fascino del proibito. Una peperina trainante) Claudia Moroni( è la prorompente Leslie Overstreet, in balia di innamoramento perso. Brava, anche lei ironica e risoluta), Eleonora Pisciarelli(una Mary Cameron enigmatica, contrastante, smarrita, infamata dalle compagne. Sotto attacco. A suo agio e diligente in un ruolo sgradevole ), Gabriella Murzilli(la temuta e odiata Preside Nolan, caposaldo di un sistema che riproduce se stesso. Assolutamente calzante ). Un plauso a Walt Whitman, poeta visionario e regista occulto sulla scena, mentre muove le passioni dei personaggi e infonde gli ideali che liberano l’immaginazione e cambiano il mondo. Spettacolo intenso, palpitante che si avvale di una compagnia formata da giovanissime e promettenti allieve prese per mano da un superbo e bizzarro capitano, Claudio Chiesa, nel ruolo del professor John Keating, interprete scanzonato e convincente, dotato di personalità radiante, adeguato e disinvolto. Mentre la voce sublime, straziante di Ray Lamontagne mette i brividi alla sala con il suo ‘Without words’, è la stessa Luana che introduce il dramma nel ruolo di Eddy, una sedicenne ’finta nihilista’ in lite con la scuola dove non vuole più tornare e che non la rappresenta. Accompagnata da un Professore di buona volontà e convincente carisma (Andrea Abbafati), si lascia ispirare e attrarre da una storia avvincente d’altri tempi, ’Foglie d’erba’ appunto, che la coinvolgerà in un vortice incalzante di emozioni. Il Professore narrante avrà soprattutto il compito di illustrare alla indolente Eddy le ragioni che la traghetteranno verso un cambiamento radicale, uno stimolo a non restare inerte mai, ad affidare a mani sapienti dubbi in cerca di risposte credibili, a rinnovarsi mettendo al servizio degli altri le proprie energie creative per contribuire a modificare nel tempo il luogo che ci accoglie. Si compie così un processo di identificazione assolutamente sconvolgente e la finzione scenica avrà un effetto catartico. E’ la magia del teatro che educa e rasserena, trasfigura e compie il miracolo. Felice l’idea e l’allestimento della ardimentosa scrittrice e regista che non si limita, nell’occasione, a riprodurre stancamente l’originale: la trasposizione in un college femminile americano e relativa mutazione di genere conferisce spessore concettuale al dramma nobilitando la contaminazione, rivendica un valore significativo quasi provocatorio, dati i tempi, e chiude il cerchio. I sistemi di apprendimento oggi, afferma la giovane autrice, sono ampiamente superati e stantii. La scuola necessita di stare al passo con i tempi assecondando trasformazioni epocali che rischiano di essere tardivamente percepite se non viene ‘colta l’onda lunga’ di istanze urgenti non più rinviabili ad un dopo indefinito. Il teatro è un luogo dell’anima, uno strumento potente di educazione che va protetto, afferma l’autrice e noi con lei, diffondendo nelle nuove generazioni i suoi principì sacrali. La Petrucci ha il merito, insegnante lei stessa, di scuotere costantemente le istituzioni scolastiche, oltreché le coscienze, con progetti virtuosi e solidali e quello a cui abbiamo assistito è quasi un capolavoro, straordinario, privo di sbavature, realizzato con professionalità e passione. Una amara lectio magistralis di educazione alla vita che graffia, nutre, accomuna e riconcilia. Assolutamente da vedere, e poi riflettere e ponderare, lasciando da parte schemi e pregiudizi, e riassaporare ancora, deposta ogni superbia, nutrendosi di moderazione, ad voluntatem nostram fluentibus, per non disperdere nel tempo ‘il pieno di freschezza’.