Musica, eleganza ed espressività sono gli ingredienti principali del trittico in scena al Teatro alla Scala, terzo titolo in cartellone per la stagione di Ballo.
Una serata dal sapore eterogeneo, originariamente concepita dall’ex Direttore Mauro Bigonzetti come un dittico con due nuove prime assolute tutte made in Italy, La Valse con coreografia di Stefania Ballone e Matteo Gavazzeni e Shéhérazade di Emilio Scignano, cui è stato successivamente aggiunto il capolavoro di George Balanchine Symphony in C.
Si parte con La Valse di Maurice Ravel di ritorno al Piermarini in una veste nuova e complessivamente efficace. Il preludio inziale, in silenzio, funge da introduzione ad una pièce di poco più di 10 minuti che ripropone fedelmente la dinamica di vortici e tensioni della partitura con uno stile multiforme che alterna momenti statici a passi ampi, scene di a solo ad ensemble in cui è coinvolto l’intero corpo di ballo. Domina il sentimento dell’inafferrabile, ben reso da una pedana inclinata su cui i danzatori si muovono e giocano, in continua tensione verso un oltre che sembra respingerli.
Cuore del trittico è la scintillante Symphony in C di George Balanchine sulla Sinfonia in do maggiore di Georges Bizet. Omaggio alla pura arte tersicorea, la coreografia segue i quattro movimenti della sinfonia, ognuno dei quali ha protagonista una coppia di danzatori affiancata dal corpo di ballo, che si riuniscono nel concertato finale in una pura esplosione di bellezza neoclassica.
Eccellenti i cast in scena: Martina Arduino e Timofej Andrijashenko riconsegnano con brio e risolutezza la vivacità del primo movimento. L’eleganza di Nicoletta Manni e Roberto Bolle trionfa nell’Adagio. Da segnalare Antonella Albano e Nino Sutera nell’Allegro Vivace e in chiusura Vittoria Valerio e Marco Agostino. Superba anche la prova dell’intero corpo di ballo femminile.
Chiude la serata Shéhérazade di Eugenio Scigliano su musica di Nikolaj Rimskij-Korsakov, che rilegge in chiave contemporanea l’esotismo della storia tratta da Le mille e una notte. A differenza della prima Shéhérazade di Micail Fokine che ne presentava solo tre, il coreografo cosentino mette in danza tutti e 4 movimenti della partitura per affrontare il tema, purtroppo ancora attuale, della violenza sulle donne.
Momento centrale è il passo a due tra Zobeide e lo Schiavo d’oro, ben riuscito anche se non pienamente efficace nel restituire l’intensità della passione. Lo stile conciso di Scigliano, infatti, necessita dell’amplificazione del corpo di ballo per trovare la sua giusta direzione. Coerenti invece scenografie e costumi, che giocano sui toni del nero del rosso e del carne.
Paavo Järvi sul podio, in un ottimo debutto a fianco di un balletto scaligero.
Letizia Cantù