Crudele e cinico: non ci sono mai incertezze, cedimenti o momenti di tenerezza in Play Strindberg di Friedrich Dürrenmatt con l’abile regia di Franco Però (direttore artistico del Rossetti di Trieste) in scena al Teatro Eliseo di Roma fino al 21 maggio. Uno dei migliori spettacoli della stagione (con la traduzione di Luciano Codignola) portato in scena da un grande terzetto d’attori, lui (Edgar, il capitano, Franco Castellano), lei (Alice, la moglie, Maria Paiato), l’altro (Kurt, il cugino/amante, Maurizio Donadoni): sono loro a rendere vivo il testo in tutta la sua attualità, a giocare con le parole, a mostrare quanto il matrimonio e il fallimento delle proprie aspirazioni personali possano rovinare una vita.
Il continuo capovolgimento di fronti fra Alice ed Edgar architettato da Strindberg viene acutizzato da Dürrenmatt che con fare caustico riduce all’osso il testo eliminando ogni altro personaggio stringendo l’attenzione e costringendo l’attenzione degli spettatori sulle vicende dei tre protagonisti.
Play Strindberg in realtà nasce quasi casualmente nel 1969 quando Dürrenmatt, allora direttore artistico del Teatro di Basilea, decide di impegnarsi ad adattare personalmente il testo, insoddisfatto di quanto circolava al momento.
L’adattamento di Dürrenmatt però va subito oltre Strindberg: l’autore si diverte a giocare con il testo, lo mantiene fedele, ma lo rende ancora più caustico e cattivo rendendo universale il pantano matrimoniale in cui sono precipitati da oltre 25 anni, e senza soluzione di continuità, Edgar ed Alice.
Dürrenmatt apparentemente rispetta forma e temi della pièce senza intervenire troppo o stravolgerla: in realtà colloca subito la scena (interno borghese di una sperduta isola del Nord Europa) all’interno di un ring di lotta di pugilato dove si consumano 11 serratissimi round sotto la luce sfavillante dei fari puntati sugli spettatori.
E se straniante, appare solo per un attimo, proprio il contrasto fra gli interni borghesi (le scene di Antonio Fiorentino e i costumi di Andrea Viotti), è il testo a rapire l’attenzione degli spettatori, non senza divertirli.
È l’effetto ring che blocca solo per un attimo il susseguirsi dell’azione che Dürrenmatt lascia procedere analizzando con sguardo impietoso la fine e l’involuzione di un matrimonio infelice che si consuma fra recriminazioni e meschine vendette personali fra Alice ed Edgar, una coppia che si accinge a festeggiare le nozze d’argento scambiandosi battute al veleno e riversando l’uno sull’alta tutto il loro odio reciproco.
Il matrimonio borghese criticato da Strindberg diventa non solo tomba dell’amore, ma anche tomba dell’individuo e della società filtrato attraverso lo sguardo crudo e distaccato dell’autore che segue le dinamiche di due individui intrappolati nella convenzione sociale del matrimonio. Ciascuno odia l’altro, Edgar, capitano di artiglieria frustrato per la mancata promozione a maggiore, Alice ex attrice che ha dovuto rinunciare alla carriera per il matrimonio. La loro vita è un inferno in cui ciascuno accusa l’altro di essere la causa dei propri fallimenti personali. A peggiorare la situazione arriva Kurt, misterioso cugino ed ex amante di Alice, che viene invischiato nella triangolo diventando suo malgrado ex machina della vicenda.
Con sguardo feroce Dürrenmatt non rinuncia a snellire i dialoghi, incrementando il livello di aggressività, rendendo più moderna la vicenda analizzata con tocco sarcastico, caustico e oggettivo, quasi scientifico. Da non perdere. In scena fino al 21 maggio al Teatro Eliseo di Roma.