Questa produzione de La Bohème ci appare polverosa nella sua magnificenza, come una bella auto d’epoca che, anche se esposta al fianco di linee più moderne, conserva il suo fascino e la sua bellezza d’altri tempi.
Perché in fondo il melodramma è meno conservatore di quanto si possa pensare e, viste le tante produzioni che il teatro milanese ha messo in scena durante questa stagione, dove la sperimentazione ha avuto ampio spazio di manovra, questa zeffirelliana memoria ci restituisce esattamente il senso della continua trasformazione a cui il teatro sottopone sé stesso.
Fin dalla prima alzata di sipario è riconoscibile la mano di Franco Zeffirelli, nei dettagli della regia e nell’opulenza delle scene che sembrano sontuose anche quando rappresentano una soffitta parigina colta dalla decadenza.
Dal 1897 ad oggi il sipario de La Scala si è alzato sulla soffitta dei giovani bohémien parigini ben 376 volte, a dimostrare che si tratta di una delle opere più amate dal pubblico milanese e non solo. Mentre questa produzione di Zeffirelli viene messa in scena dal 1963 con un’alternanza di grandi nomi a farne da interpreti, in una lunga serie di riprese che però l’hanno lasciata sostanzialmente uguale a se stessa.
Una sorta di storia nella storia, quindi, che ancora affascina e riempie il teatro, quasi al completo.
Ciononostante, la sensazione, durante i quattro quadri della rappresentazione, è stata di uno spettacolo che, viste le alte aspettative, ha solo sfiorato il suo potenziale di bellezza intrinseca, fermandosi purtroppo sulla superficie di una magnificenza latente ma non espressa fino in fondo.
La poesia dell’ordinario, il lirismo dei versi di Illica e Giacosa, la bellezza delle note ispirate di Puccini, insomma, quel sottile filo che lega ciò che è scritto a ciò che è espresso come forma pura di sentimento liquido: una sostanza immateriale che in questo caso non si è concretizzata.
La concertazione di Evelino Pidò è stata impeccabile nella sua precisione, ma è mancata proprio di quel lirismo necessario a trasmettere la tensione emotiva che sottende quel passaggio tra l’allegria e la tragedia, trasposto in musica così perfettamente da Puccini. Una lettura rimasta ferma alla matematica del pentagramma, perdendo di vista le pieghe nascoste di un’opera così intrisa di lirismo.
Anche il cast, nonostante l’indubbio talento di tutti i suoi componenti, ci è sembrato come proiettato verso qualcosa che non ha saputo cogliere davvero, lasciandoci intuire un potenziale che non si è dispiegato del tutto.
A partire dal Rodolfo di Fabio Sartori, tecnicamente perfetto, con un timbro e una morbidezza godibili in tutti i registri, eppure così ingessato nel mostrare reale trasporto verso quella Mimì fragile, delicata, che invece una sorprendente Sonya Yoncheva ha saputo regalarci, con una voce soavemente potente e perfettamente modulata in tutte le sfumature di un timbro caldo ed espressivo. Forse l’unica che ha saputo restituire davvero le emozioni più profonde del suo personaggio, donandosi al pubblico con sincero trasporto, fin nella scena finale, commovente e placida.
La Musetta di Federica Lombardi è allo stesso modo perfetta nella tecnica e nel timbro, ma manca di trasmettere quell’evoluzione del personaggio dalla frivolezza all’empatia per l’amica morente, un sotteso psicologico che non è emerso, nonostante la vocalità godibile.
Bravi anche gli altri interpreti maschili, in particolare Carlo Colombara, nel ruolo di Colline, che però allo stesso modo manca di centrare appieno il lato drammatico della vicenda, riuscendo meglio nelle parti in cui gli è richiesto di divertire il pubblico.
Il coro, preparato dal maestro Bruno Casoni, è stato perfettamente all’altezza della situazione.
Un cenno particolare lo meritano i costumi di Piero Tosi, ripresi da Alberto Spiazzi, che hanno contribuito alla meraviglia della scena, regalandoci uno spettacolo nello spettacolo.
A fine recita applausi entusiastici da un teatro al completo, con un pubblico che ha applaudito spesso prima dell’ultima battuta tra un quadro e l’altro, nonostante i gesti del maestro rivolti alla platea, come a chiedere: “aspettate”. Una scena che un po’ ci ha fatto sorridere e un po’ arrabbiare. Ma in fondo anche questo fa parte del teatro.
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La Bohème
Opera in quattro quadri
Musica di Giacomo Puccini
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
(Nuova edizione riveduta sulle fonti originali
a cura di F. Degrada; Casa Ricordi, Milano)
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Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore: Evelino Pidò
Regia e scene: Franco Zeffirelli
Regia ripresa da: Marco Gandini
Costumi: Piero Tosi
Luci: Marco Filibeck
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CAST
Mimì: Sonya Yoncheva
Rodolfo: Fabio Sartori
Marcello: Simone Piazzola
Schaunard: Mattia Olivieri
Colline: Carlo Colombara
Musetta: Federica Lombardi
Benoit: Davide Pelissero
Alcindoro: Luciano di Pasquale
Parpignol: Francesco Castoro
Sergente dei doganieri: Gustavo Castillo
Doganiere: Rocco Cavalluzzi
Venditore Ambulante: Jeremy Schϋtz