Autori, attori, registi: Marta e Diego Dalla Via
Direzione tecnica: Roberto Di Fresco
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Il giovane gruppo Fratelli Dalla Via, già affermato a livello nazionale, ha presentato la sua ultima produzione al Mittelfest in una versione speciale, arricchita per l’occasione di una sezione finale dedicata al tema dell’edizione del Festival di quest’anno che è “l’aria”. Su di esso i due fratelli hanno imbastito l’ultima parte del loro esperimento di ludolinguistica (così hanno definito il loro spettacolo) utilizzando tutte le lettere dell’alfabeto nel componimento a cui hanno fatto ricorso più di frequente, il tautogramma (un gioco linguistico costituito da una sequenza di parole che iniziano con la stessa lettera). Lo stesso titolo Drammatica elementare è un gioco di parole che allude allo stile e alla sostanza dello spettacolo, riferendosi all’identità, peraltro poco consistente, dei personaggi che si presentano nelle vesti di due scolari “debosciati e inetti”, ribelli e autodidatti, che vivono drammaticamente la loro incerta vicenda scolastica e che ribaltano il loro destino sabotando il linguaggio attraverso una costante reinvenzione ludica dell’alfabeto e del sistema di pensiero che soggiace al significato comunemente accettato delle parole. La “drammatica elementare” si configura così come il tentativo utopico di rifondazione del linguaggio e, di pari passo, della realtà, compiuto attraverso l’esercizio costante del teatro (“drammatico” tout court) come “gioco”. Questa rivendicazione tipicamente avanguardistica, nel suo mescolare arte e vita, è palesata all’interno dello spettacolo attraverso il richiamo diretto al dadaismo, che tra i movimenti d’avanguardia degli inizi del ‘900 è stato quello che con più forza ha adottato il “gioco di parole” come strumento di rivoluzione artistica e culturale.
Si parlava di identità poco consistente dei personaggi: nel senso che, la caratterizzazione e l’ambientazione scolastica sono solo un pretesto per lasciare ampio spazio agli attori-fini dicitori di compiere le loro scorribande linguistico-satiriche, sui temi a loro più congeniali, spesso attinenti alla realtà del nord-est di loro provenienza (la provincia di Vicenza in particolare). Il merito maggiore dello spettacolo sta proprio, a mio avviso, nell’aver trovato un felice connubio tra lo sprigionarsi della fantasia e lo sguardo smaliziato su stereotipi, abitudini, mentalità del nostro vivere contemporaneo, stimolando nel pubblico un duplice atteggiamento di libertà immaginativa e affinamento dello spirito critico. Che si parli dell’adeguamento della chiesa all’imperante capitalismo consumistico (con un azzeccato Cristo in veste di confuso cittadino che lamenta il tradimento dell’originario spirito evangelico), o della “strategia delle notizie apocalittiche” messa in atto dai telegiornali per incrementare l’audience, o della ricostruzione della grottesca vicenda politica degli ultimi anni (dall’ascesa del “popolo padano” a quella del presidente del “bunga-bunga”), le verità ufficiali propalate dai media e dalle istituzioni religiose e politiche vengono gioiosamente contestate attraverso monologhi iperbolici, surreali e fiabeschi, il cui stile sta a metà strada tra la messaggistica sms e gli sproloqui del Dottor Balanzone; oppure attraverso duetti scanditi da efficaci tempi comici, anche in virtù dell’uso del dialetto veneto, in cui si espongono punti di vista opposti su temi quali l’alimentazione (macrobiotica o “tradizionale”) o l’Unione Europea (vista come patria di grandi ideali o come strumento di affermazione di interessi egoistici e monopolistici). Il risultato complessivo è un intelligente divertissement molto gradito al pubblico in sala, il cui rischio però è di risolversi in mero esercizio virtuositico eludendo in parte i presupposti avanguardistici di partenza; quasi che i Fratelli Dalla Via fossero maggiormente impegnati ad organizzare formalmente l’”eccesso di senso” prodotto dall’accumulazione e proliferazione dei loro componimenti ludolinguistici, piuttosto che a sperimentare l’effetto deflagrante e disorientante del “non-senso” che si lega ai tipici “attentati al linguaggio” di quel genere, additati dalla lezione più ardua delle avanguardie storiche.
La prova recitativa di Marta e Diego Dalla Via è stata adeguata alla preponderanza del dettato drammaturgico, la cui pregnanza e ricchezza andrebbe certamente premiata e valorizzata (anche attraverso la pubblicazione del testo); entrambi hanno scandito gli innumerevoli tautogrammi e giochi di parole con toni ironici, sarcastici, oppure calandosi credibilmente nei panni dei vari personaggi che hanno evocato a comando all’interno del loro speciale e originale “teatro di narrazione”. La scenografia, povera ed essenziale (quattro schermi rettangolari disposti irregolarmente uno sull’altro sul fondo scena, due tavolini al centro e due manichini anatomici ai lati), si è caratterizzata per la polifunzionalità dei pochi arredi di scena. Un esempio per tutti: i banchi di scuola dell’esordio dello spettacolo si sono trasformati via via in tavola da pranzo, pannelli manovrati da ipotetici presentatori televisivi ecc.