Raphael Gualazzi, giovane cantautore e pluripremiato musicista in questi giorni in giro per l’Italia con il suo tour estivo “Love Live Peace Tour”, ha dato il via alle serate in Piazza Torre di Berta della 15esima edizione di Kilowatt Festival a Sansepolcro (AR) con un recital piano e voce. Prima del concerto abbiamo fatto due chiacchiere con lui.
Ho pensato ad un recital piano e voce per la serata a cui sono stato invitato perché l’ho considerato adatto al contesto. La bellezza del “piano solo” è quella di mettere in rilievo le potenzialità del pianoforte. Sicuramente c’è più libertà nel fraseggiare sullo strumento, nel divertirsi con i cambi di tempo, nel prendere decisioni all’insegna dell’improvvisazione. È molto importante, come ben saprà chi si occupa di teatro, la potenza che ha l’istantaneità dell’idea e per me la bellezza di improvvisare è grande. La scaletta è molto varia: ci sono brani della tradizione afroamericana più e meno recenti e conosciuti insieme ad altri brani che non suonavo da parecchio tempo appartenenti al mio primo lavoro del 2005 che vanno a scavare nelle radici delle mie ispirazioni e ci sono anche brani più recenti che magari si sentono in radio ma interpretati in un’altra versione. In realtà non ho un’idea precisa della scaletta, è qualcosa che trae ispirazione dall’energia del momento, dal tipo di rapporto che si istaura con il pubblico a seconda della location e dell’energia.
Quanto pensi sia importante coniugare sonorità jazz e pop nella tua musica, soprattutto in un contesto live che ti permette di esulare da una partitura fissa?
Penso che innanzitutto sia necessario destrutturare determinate forme musicali e riportarle al loro significato originale e quindi all’energia iniziale della composizione. Questo avviene sicuramente sfruttando in primis l’arrangiamento e lasciando che la versione piano/voce esalti ancora di più la semplicità e la crudità della melodia. Allo stesso tempo però credo sia essenziale ricordare a chi ascolta musica jazz che essa è di tutti: è nata come musica popolare e tutti hanno il diritto di goderne. Ad un certo punto dello spettacolo confesso di non riconoscere più la differenza tra un brano pop e uno per così dire più classico perché penso che in quest’ottica sia più interessante la fusione dei generi musicali.
Che tipo di rapporto hai con il teatro contemporaneo?
Nel 2007 ho musicato “Patmos” tratto da “Trasumanar e organizzar” di Pier Paolo Pasolini. Si trattava di una lettura concertante a tre voci con Donatella Marchi, Eleonora Massa e Giorgio Iacobelli andata in scena a Bologna. Credo che la commistione tra le arti sia una cosa magnifica e quando è possibile mi lascio trasportare volentieri in questo tipo di esperienze.
E come spettatore? Segui qualche stagione, vai spesso a teatro?
Non spesso come vorrei, mi piacerebbe avere più tempo a disposizione per farlo.
In quanto artista invece quanto spazio dai alla carica interpretativa a servizio di singoli brani che hanno una loro storia specifica?
Credo che l’interpretazione sia fondamentale. Nella storia della musica numerosi brani sono stati “capovolti” a livello interpretativo da grandi maestri, realizzazioni che si allontanano moltissimo dalle versioni originali e che fanno comprendere quanto sia l’irrazionalità dell’interprete a volte a rendere così affascinante un brano musicale.
A giugno è iniziato il tour estivo “Love Live Peace Tour” che continuerà fino alla fine di luglio. Hai già qualche progetto futuro in cantiere?
Sì, il 26 agosto sarò maestro concertatore al Concertone dell’edizione del ventennale della Notte della Taranta a Melpignano. In autunno invece ci sarà la pubblicazione dell’edizione internazionale del nuovo album (già disco d’oro in Italia) “Love Life Peace” in Francia e in Germania che mi porterà a girare i due paesi per la promozione.