Scritto e diretto da Alessandro Riccio
Con Alessandro Riccio, Alessandro Scaretti, Vania Rotondi
Costumi di Daniela Ortolani
Luci di Lorenzo Girolami
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Alessandro Riccio sceglie un luogo incantato per il suo nuovo viaggio nel tempo con destinazione Medioevo. Nel parco di villa Le Piazzole, dopo esser stati accolti da statue di giovani e fanciulle in costume che popolano il labirintico giardino all’italiana, si scopre un raccolto anfiteatro cullato dal verde. Qui, al calare della notte, prende vita un nobile castello medievale, dove una scaramantica duchessa si trova a vivere da sola dopo la morte del marito. A tentare di rallegrare le sue lunghe e meste giornate c’è il buffone di corte, Malagigio, il cui nome è tutto un programma: brutto ai limiti dell’umano, gobbo, zoppo e, con queste premesse, inevitabilmente goffo anche nei più semplici movimenti. La sua sola presenza provocherebbe una risata a chiunque, ma la duchessa è stanca della sua vita di palazzo, con tutto ciò che vi accade dentro, le situazioni e le abitudini rimaste immobili da prima del fattaccio. Quella di Malagigio è una posizione assai difficile, in precario equilibrio tra l’attenzione che dedica alla sensibilità della sua padrona e la necessità impellente di farla ridere. Un’affannosa rincorsa a un sorriso che sembra ormai perduto per sempre. Come se non bastasse, si intromette un giovane disgraziato, senza niente da perdere, che riesce a farsi nominare menestrello di corte ammaliando la duchessa con le sue sdolcinate storie d’amore.
Riccio riesce ancora a stupire il pubblico con una nuova trovata: raccontare sé stesso, il suo mestiere, la sua realtà, attraverso la storia di un suo collega con qualche secolo di storia in meno alle spalle. Vestendo i pesanti panni di Malagigio, ingobbito e mascherato fino a rendersi irriconoscibile, si è in realtà messo a nudo, con tutte le fragilità di chi nel quotidiano crea qualcosa da regalare agli altri. E di tutti i doni che l’artista può offrire, la risata è forse il più prezioso, non perché migliore degli altri, ma perché più facilmente corruttibile. Tutti i Malagigio sono terrorizzati dai musi imbronciati, consapevoli che il loro pane dipende soltanto da quella mezzaluna sul viso del pubblico. Che poi, se è calante, sarà un fallimento e, se è crescente, sarà un successo, ma ci sarà sempre chi dirà che è stato facile, banale, volgare. Certo non è volgare, banale, né tanto meno facile parlare della comicità facendo ridere, della recitazione essendo attore, della reazione dello spettatore guardandolo negli occhi.
I tre attori si alternano sulla scena per raccontare una storia che ne contiene tante altre. Raccontano di una duchessa rimasta vedova del suo duca, di una donna che governa un popolo ma non ha la facoltà di decidere per sé stessa, di un amore incondizionato e crudele; raccontano di un giovane affamato e determinato, di un menestrello che non sa leggere ma sa cantare, di un’ambizione che gioca col fuoco e si brucia; raccontano di un buffone, che fa lo scemo ma non lo è, di un uomo che non finisce con la maschera che indossa, di una responsabilità che è più grande di quel che sembra.
Ognuno dei tre attori è un personaggio compiuto, solido, tanto che i costumi e la scenografia sono solo un perfetto contorno con cui a Riccio piace sempre rifinire i suoi spettacoli. In un ambiente esterno come quello – magico – di villa Le Piazzole si apprezza ancora di più la precisione vocale dei protagonisti, nel timbro, nella dizione e nella cadenza, che vede accostate e integrate la componente dialettale e quella medievale. Ciascun organo sensoriale è soddisfatto.
Sarebbe un peccato perdersi Malagigio.