È un pomeriggio d’inizio estate. Ho appuntamento a Venezia al Teatrino Groggia per incontrare una delle figure più poliedriche nel panorama veneziano dello spettacolo, Mattia Berto. Attore, regista, illustratore, ha fatto del Teatro con e per i ragazzi la propria specializzazione. Dopo aver fondato nel 2011 l’associazione culturale mpg.cultura, assieme a Giacinta Maria Dalla Pietà e Piero Ivancich Toniolo, è diventato con essa direttore artistico del Teatrino Groggia a Sant’Alvise nel 2012, riuscendo così a strappare dal degrado uno spazio caro ai veneziani. Ci sediamo nel bel parco esterno a scambiare quattro chiacchiere.
B: Mattia, mi spieghi. Perché proprio il teatro ragazzi come motore per il suo fare teatro?
M.B: È nato come vocazione durante la mia formazione, da quando ho capito che mi piace stare con i vecchi e con bambini che in fondo è un po’ la stessa cosa. Trovo in essi la capacità di agire in modo incontaminato, come saggi e con la spensieratezza dell’infanzia. Mi affascina quel magico fare giocando che secondo me deve appartenere sia al mondo dei piccoli che degli adulti. La cosa sarebbe automatica se ciò venisse insegnato alle nuove generazioni fin dalla tenera età. Ci vogliono dei bravi maestri. Sono stato legato per anni all’insegnamento di Marcella Duse, un cognome importante, artista della vecchia scuola, amante della dizione, di quel modo di fare teatro ancora legato al passato. Ho lavorato con Carlo Presotto, La Piccionaia I Carrara di Vicenza e Gli Alcuni di Treviso, in spettacoli dove disegnavo in diretta per i bambini. Ho voluto studiare l’argomento e mi sono laureato in Tecniche Artistiche e dello Spettacolo a Ca’ Foscari con una tesi sui Percorsi della creatività nel teatro ragazzi, in un territorio particolare: il Nordest, partendo proprio dalla mia esperienza di formatore e dai laboratori che tengo tuttora nella provincia veneta che sono linfa vitale per il mio lavoro di regista. Non a caso sono anche Direttore Artistico della stagione di teatro ragazzi del Dario Fo di Camponogara.
L.B: Quali sono stati gli incontri fondamentali nella sua formazione?
M.B: Ho partecipato a diversi workshop e laboratori di formazione artistica con, tra gli altri, Adriano Sinivia, Yuta Katakei, Franco Mescola, Carolin Carlson – nell’ambito del master dell’Istituto della Commedia dell’Arte Internazionale nel 2007 sotto la direzione di Gianni De Luigi – con Orlando Forioso, Massimo Ranieri, Mimmo Cuticchio nell’ambito del Laboratorio Internazionale del Teatro de La Biennale di Venezia nel 2008 diretto da Maurizio Scaparro. Considero Scaparro il mio maestro perché mi ha insegnato l’importanza dell’ironia e del fare rete. Negli ultimi anni, la curatela di Ad Alta Voce, progetto ideato e sostenuto da Coop Adriatica, mi ha permesso di conoscere artisti del calibro di Serra Yilmaz, Maria Pia di Meo, Lucia Poli, Stefano Benni, Francesco Pannofino, Vasco Mirandola.
L.B: Si ricorda il suo debutto come attore?
M.B: Ero molto piccolo, avevo 10 anni. Fu in un recital di poesia sulla mamma a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta e subito conseguente in Spoon River a Ferrara con Marcella Duse, dove interpretavo un bambino morto, brano che ho poi ripreso recentemente per un’azione di Teatro in Bottega.
L.B: Mi interessa Teatro in Bottega. Di che si tratta?
M.B: Il concetto su cui si basa è molto semplice, portare teatro lì dove non ti aspetti di trovarlo. L’idea è nata da me, che da anni svolgo ricerca sulla città e sui luoghi del quotidiano, e da Giorgia Chinellato, fotografa di talento che cura tutta la parte visuale della mia attività. E’ una poetica precisa che scaturisce dalla mia vocazione verso il sociale e il coinvolgere le botteghe arriva per la necessità ancora più spinta di lavorare con le persone che la società la fanno, fautrici consapevoli o meno d’una rivoluzione culturale umana e antropologica. Abitiamo i negozi e le botteghe dei centri storici con azioni performative nell’ottica di fondere saperi e mestieri, far incontrare artisti e clienti- spettatori valorizzando i luoghi del fare come nuovi palcoscenici. Gli artisti coinvolti sono attori, danzatori, videomaker e sound-designer, con i quali realizzare una nuova mappa delle città attraverso chi la vive. E’ un atto estremo d’amore verso una città, come Venezia, che soffre di molti problemi tra spopolamento e sovraffollamento turistico.
L.B: Una filantropia goldoniana oserei dire, se penso alla Bottega del caffè o alla Locandiera. Che rapporto ha con Goldoni?
M.B: E’ un mio punto fermo. Quest’anno, grazie alla mia capacità di fare rete, è partito il progetto Goldoni metropolitano, cordata tra Fondazione Musei Civici, Comune di Venezia e Teatro Stabile del Veneto, un ciclo di laboratori, spettacoli, percorsi teatralizzati ed incontri con i registi nei vari luoghi della Città Metropolitana. La sfida è quella di raccontare la Venezia contemporanea, con i suoi protagonisti e i suoi luoghi, usando lo sguardo con il quale Carlo Goldoni l’ha percorsa tre secoli fa. All’interno di tale progetto quest’anno ho tenuto due laboratori per adulti, uno al Teatro Momo di Mestre, Carlo Goldoni hitparade anni 80, e uno al Teatro Goldoni di Venezia, Carlo Goldoni hit parade anni 60. La restituzione con i trenta partecipanti è stata a maggio con Follow Carlo Goldoni, in cui ho trasformato il teatro in una spa. Non è il teatro una cura meravigliosa per la nostra anima? Per Casa Goldoni curo da anni regie site specific, l’ultima per Me Anzoletto, monologo di Marco Gnaccolini affidato al talento del giovane Pierdomenico Simone. In un ponte con il contemporaneo, la figura del Goldoni avvocato rivive in Simone che interpreta un avvocato del nordest e con la passione per il teatro.
L.B: Quindi, secondo lei, partire da Venezia o restarvi?
M.B: Ho bisogno di un posto che sia casa. Venezia è un privilegio enorme per un creativo come me, è una scena a cielo aperto. Si fa fatica con lo stanziale, meno con il temporaneo. Il segreto è inventarsi una progettualità, eleggere un posto a dimora del creare. Bisogna inventarsi l’opportunità di rimanere, rinnovarsi continuamente per restare lì dove solo apparentemente non sembra esserci più nulla.
L.B: Eppure il Ponte della Libertà ogni tanto lo percorre volentieri. Se non vado errato Teatro in Bottega annovera come evento speciale una curiosa trasferta a Cortina…
M.B: Esattamente. Iniziamo questa nuova esperienza un anno fa e subito Teatro in Bottega riceve la prima committenza. Ci scrive Colorvision, brand di occhiali con base in Cadore e negozi in tutta Italia. Partiamo per Cortina e non abbiamo dubbi su come procedere. Questa volta però agiamo diversamente, consci che qui una performance sarebbe stata riduttiva. Un cortometraggio è quello che ci vuole. Dal 20 al 23 gennaio 2017 giriamo Commesso viaggiatore che arriverà pronto a Colorvision pochi giorni dopo. Coinvolgiamo numerose realtà della vallata tra cui l’Hotel Miramonti Majestic, lo Stadio Olimpico del Ghiaccio, il Panificio pasticceria Alverà, il rifugio Faloria e La Cooperativa di Cortina. Mi sono trasformato in venditore e andavo in giro con Giorgia Chinellato chiedendo agli ampezzani di indossare gli occhiali e poter scattare loro delle foto. Ero in un vero e proprio delirio di piacere, potevo fare quello che volevo.
L.B: In Commesso viaggiatore la affianca, tra le altre, Sara Lazzaro, protagonista assieme ad Alex Cendron di Afterplay, suo ultimo successo di pubblico e critica.
M.B: Il Teatro di Ca’ Foscari mi chiede un titolo da inserire in Correlazioni, la stagione appena conclusa. Contatto Monica Capuani, traduttrice di teatro anglosassone che mi manda una serie di testi tra cui Afterplay di Brian di Friel, per anni traduttore di Cechov. Scelgo questo per il suo fascino decadente, una struttura di parole e gesti costruita con perfezione in un quadrato di due metri per due. Lavorando ultimamente col video, decido di girare metà spettacolo al Lido, creando nel pubblico il dubbio se davvero Alex Cendron e Sala Lazzaro arriveranno in scena. Al culmine degli eventi le loro due solitudini s’incarnano davanti allo spettatore. È stata un prima italiana che mi ha dato grandi soddisfazioni ed è, assieme a Me Anzoletto, la regia che quest’anno mi ha dato più soddisfazioni.
B: Perché secondo lei, se voglio la qualità devo recarmi in teatri fuori dal mainstream?
M.B: Ci sono troppi attori. Si è creato nel tempo uno strano approccio all’idea di fare questo mestiere, dimenticando i sacrifici e le inquietudini che comporta. Dall’altro lato, quello che mi spaventa sono i teatri vuoti di giovani. Bisogna ripensare alle programmazioni conferendole un senso organico, in seno a un fare creativo capace di conquistare tutti i target. Il Teatro di Ca’ Foscari e il Teatrino Groggia procedono in questo senso e i risultati si vedono. La gente si riversa nei teatri più piccoli perché ha voglia di scelte precise e va lì dove vede passare un messaggio. Puntare sul grande nome? Non credo sia la soluzione, come nemmeno lo sia trincerarsi dietro la tradizione. Personalmente, lavorerei sulle nuove generazioni. Giovani a Teatro, ad esempio, faceva un ottimo lavoro sul territorio, creando laboratori di drammaturgia e critica, coinvolgendo ragazzi e scuole. Si proponeva di educare al teatro i futuri anziani, quelli che oggi non mancano mai in sala.
B: Anziani che sono protagonisti del suo ultimo lavoro.
B: L’ottava performance di Teatro in Bottega, intitolata Venezia – Learning from Las Vegas è fatta dal gruppo Over80 che svolge la sua attività di volontariato presso l’Informa Anziani di Campo Santa Margherita. A ottanta anni si ha ancora energia e voglio di vivere, a ottanta anni si è saggi e ironici allo stesso tempo, a ottanta anni se si vive ancora a Venezia è perché è difficile immaginare una vita altrove. Siamo alla quarta età, siamo ancora giovani e non a caso il momento conclusivo si è svolto in palestra.
B: Salutiamoci con un classico del teatro a cui non rinuncerebbe mai.
La tempesta di Shakespeare. È il testamento del Bardo, ci sono i vecchi come Calibano e i giovani spiriti come Ariel. Ho voglia di ritirarla fuori, ma chissà, tra mezz’ora passeggiando per le calli mi verrà in mente un altro progetto da proporre ai miei ragazzi. Sono un vulcano di idee, l’unico modo per sopravvivere qui a Venezia.