“Oltre” è la parola prescelta per riassumere la giornata conclusiva di Scenari Europei 2017. Con Più nel Bosco non andremo, i Dehors/Audela si misurano con le suggestioni infinite proposte da un testo misterico come quello della Alice di Lewis Carroll. Ciò comporta innanzi tutto una più massiccia presenza della parola in questa performance rispetto ai lavori precedenti della formazione romana, benché l’interesse principale pare rivolto alla manipolazione dei significanti, senza mai sfiorare le corde della narrazione. La collaborazione con Simone Pappalardo orienta il lavoro lungo le direttrici della sonorità pura e suggestiva, e la presenza in scena del musicista al comando della sua consolle elettronica sembra dichiarare l’importanza programmatica di una linea registica e concettuale. Per il resto la scena, percorsa da Elisa Turco Liveri, è abitata da tre zone sceniche dove si accumulano strumenti tecnici ed estetici, che alludono ad alambicchi alchemici come ad elementi silvani, trovando una sintesi o una chiave d’uscita nella superficie immancabile dello specchio. L’azione interpola momenti di coreografia, di movimento e di parola, ora dentro ora fuori dal cono dell’amplificazione microfonica, alla ricerca degli strati più umbratili, inquieti e meno favolistici del soggetto di partenza. La tessitura sonora sembra tuttavia creare qualche problema di temporalità, indugiando in dilatazioni eccessive che non vengono sempre riempite scenicamente, così come la semi-oscurità dominante -più che accendere la suggestione dell’incubo- rimane nella sua consistenza strumentale, come condizione necessaria per la proiezione video sullo schermo di fondo, dove l’immagine di un bosco viene alterata e mossa con ossessività estenuante e piuttosto sterile. Scorre via disattesa la “promessa” di una cifra stilistica seducente.
Il desiderio di andare oltre lo schermo della realtà, ma anche della rappresentazione, torna in Bau #2 di Barbara Berti, l’altro progetto vincitore del Premio Scenario 2017. Qui si ha la dimostrazione più plastica di come un lavoro fondamentalmente astratto possa realmente avvolgere il pubblico e carpirne tutti i canali percettivi. La scena nella sua neutralità irradia da subito una luminosità magnetica e profonda, lontana dalle palpitazioni del ritmo. Un tappeto bianco copre l’intera superficie del palcoscenico, su cui posa raccolta la figura minuta dell’interprete avvolta in una tuta blu. L’azione che si sviluppa immediatamente è una fusione totale di movimento corporeo e parola, che si riversano l’uno nell’altra in termini di tempo e di tono. Se questo è il sentiero percorso a ragione da tanto teatro contemporaneo e da tanti artisti di performance, c’è da dire che quello proposto da Barbara Berti appare il risultato più preciso e convincente. Lo spettatore è posto davanti ad un linguaggio completamente nuovo; si ha come l’impressione di vivere un’esperienza straniante e personalissima più che di assistere ad uno spettacolo. La performance di Barbara Berti crea con grazia non solo esteriore e non solo estetica un vortice percettivo che non richiama la semplice attenzione del pubblico ma la sua naturale proiezione verso il benessere, e solo tramite questa ne trascina dietro la partecipazione integrale. L’azione non è fatta di movimento e parola, bensì da un flusso, unitario e costante, come acqua che scorre o come un filo di seta che si dipana. Il ritmo del parlato segue la cadenza dilatata dettata dal corpo, mentre il tono vocale resta immutato e serafico anche nelle evoluzioni fisiche più ardite ed impegnative. E la testualità tende a descrivere in chiave metateatrale la condizione psico-fisica della performer nell’atto di compiere ogni singola variazione, in una sorta di stream of consciousness fisicizzato, ma risulta difficile seguire con precisione esclusiva il senso delle parole, non perché il messaggio sia criptico o perché la performance si faccia distante con il passare dei minuti, bensì perché per la prima volta nella nostra esperienza di spettatori il messaggio verbale che recepiamo fa organicamente parte di un linguaggio più complessivo, benché mai complesso, da recepire con la pelle ed i pori oltre che con udito ed occhi. Raffinatissimo, superlativo!
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“Più nel Bosco non andremo”
concept Simone Pappalardo e Dehors/Audela
musica Simone Pappalardo
azione scenica e testi Elisa Turco Liveri
immagini Salvatore Insana
con il sostegno di Conservatorio Respighi di Latina, Vera Stasi, Florian Metateatro, Wunderkammer
genere: performance
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Bau #2 – Coreografia del Pensare
di Barbara Berti (Bologna)
concetto, coreografia, danza, testo Barbara Berti
drammaturgia Carlotta Scioldo
Luci Liselotte Singer
genere: performance