Glauco Mauri e Roberto Sturno tornano a Beckett, diretti da Andrea Baracco, con Finale di partita testo cardine e paradigmatico del Novecento. Scritto da Beckett nel 1956, andò in scena, in francese, in prima mondiale al Royal Court di Londra nell’aprile del 1957 insieme all’atto unico Atto senza parole, e poi, nello stesso mese e con la stessa Compagnia, a Parigi allo Studio des Champs-Élisées. In Italia fu messo in scena per la prima volta l’anno successivo da Andrea Camilleri.
Come in molti suoi lavori Beckett, Premio Nobel per la Letteratura del 1969, in Finale di partita parla della condizione umana segnata dalla sofferenza e dall’assurdità dell’essere, dei limiti e delle possibilità della libertà individuale, della solitudine di ciascuno di fronte al mondo: un teatro di personaggi, che si fissano nella memoria, vivi e palpitanti.
Finale di partita, si svolge in una stanza-rifugio post-atomico, nuda, senza mobili, dove la luce penetra grigiastra, dove, come in una pseudopartita a scacchi, si muovono i suoi personaggi: Hamm, cieco e su una sedia a rotelle, i suoi genitori Nagg e Nell, senza gambe e chiusi in due contenitori per la spazzatura, e il suo servitore Clov, che non può sedersi mai. Hamm e Clov per sopravvivere hanno bisogno l’uno dell’altro: solo Clov può dar da mangiare ad Ham, e solo Ham possiede le chiavi della dispensa.
“Nella vita della nostra Compagnia Beckett è stato un amato compagno di viaggio. In diverse stagioni teatrali abbiamo interpretato, oltre a un beckettiano Don Giovanni di Molière, dieci suoi atti unici, anche tra i meno noti. Non abbiamo, per varie difficoltà, mai potuto affrontare Aspettando Godot, ma anni fa con Roberto Sturno decidemmo di portare sulla scena Finale di partita. Abbiamo cominciato a provare con grande entusiasmo… ma poi ci siamo arresi. Ci siamo sentiti immaturi e forse non pronti per affrontare un così poetico, tragico e farsesco aspetto della vita.
La tragedia del vivere che diventa farsa – la farsa del vivere che diventa tragedia?
Un ossimoro dove convivono una risata e un arido pianto, una disperazione senza speranza e un insopprimibile sentimento di pietà per l’uomo.
Dopo Finale di partita, Beckett ha creato i suoi due ultimi capolavori: L’ultimo nastro di Krapp e Giorni felici dove la disperazione dei due personaggi si vela in una poetica, pudica tenerezza. Quanta umanità. Per me Beckett è questo!
Quando nel 1962 interpretai per la prima volta in Italia L’ultimo nastro di Krapp e Atto senza parole alcuni critici mi rimproverarono di aver reso poco beckettiani i due personaggi togliendogli quel che di meccanico e geometrico che, secondo loro, era un segno indispensabile del “teatro dell’assurdo” di Beckett. Ma io ho sempre considerato Beckett non uno scrittore del teatro dell’assurdo ma un grande poeta della difficoltà del vivere dell’uomo.
E’ questo che con Andrea cercheremo di far vivere sulle tavole del palcoscenico.”
Glauco Mauri
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Note di regia
“Un regista non può non diffidare di Beckett, artefice di gabbie talmente costrittive da lasciare scarsa libertà di intervento o invenzione ad una messa in scena meticolosamente imposta dalla pagina. Detto questo, le opere di Beckett ti entrano nel sangue, ti assalgono quando meno te lo aspetti, non fanno alcuna distinzione tra sonno e veglia, ti si piazzano davanti e si insinuano lentamente o alla spedita velocità di un’allucinazione. Un brandello di conversazione catturata per strada e ci troviamo davanti a Vladimiro ed Estragone, uno sguardo ad una propria reazione ed ecco arrivare Clov ciondolante, un uomo su una carrozzina, una donna su un dondolo o una bocca che ti parla senza sosta, l’associazione è immediata. Se il drammaturgo diciamo così, tradizionale, costruisce l’azione scenica a partire da una situazione, Beckett la costruisce a partire da un’immagine, l’albero di Aspettando Godot, i bidoni di Finale di partita, il registratore de L’ultimo nastro di Krapp, la bocca in Not I, la donna con l’ombrellino di Giorni felici, è impossibile avvicinarsi ad un testo di Beckett senza essere sopraffatti prima di tutto, prima ancora delle parole, dalla straordinarietà significante di un’immagine.
Parlare di Beckett significa parlare dell’insensatezza della condizione umana, della insondabilità dell’universo e dell’umano, del tentativo di esprimere l’inesprimibile, insomma di molti grandi temi (anche se lo stesso autore mette in guardia: “il mio lavoro è questione di suoni fondamentali – dice – se qualcuno vuole farsi venire il mal di testa con i significati reconditi, faccia pure. E si prepari un’aspirina”), ma più di tutto significa parlare di teatro, di personaggi che si fissano nella memoria, vivi e palpitanti, più di tanti altri della così detta drammaturgia di stampo realistico.
In Finale di partita tutto ciò è assolutamente evidente; da un lato i due bidoni che contengono Nagg e Nell, e poi la sedia a rotelle, la scala che dà sulle finestre in alto, costruiscono un luogo installativo, uno spazio autosufficiente che sembra non avere necessità di altro se non di se stesso per essere significante; e poi loro, gli unici abitanti plausibili e possibili di quel luogo, Hamm e Clov da un lato e Nagg e Nell, i genitori di Hamm, dall’altro, impensabili l’uno senza l’altro, come tante coppie comiche del cinema muto impossibili da immaginare separati. Complementari ma ostili, ferocemente legati l’uno all’altro,
Clov Non posso star seduto.
Hamm Già. E io non posso stare in piedi.
Clov Così è.
Hamm A ciascuno la sua specialità (Pausa). Non ridi?
Clov (dopo aver riflettuto) Non ci tengo.
Clov con un passo fuori dalla porta, da sempre e per sempre in procinto di varcare la soglia e via, scapparsene via, Hamm che da parte sua non fa altro che invitarlo costantemente verso l’uscita, e neppure in maniera tanto delicata, più con violenti spintoni che con amorevoli saluti. Ma poi in realtà non possono far altro, sembra, che rimanere lì, in quella stanza (Interno senza mobili, luce grigiastra), uno seduto l’altro in piedi, uno col fischietto in mano l’altro con le orecchie pronte per rispondere al suo suono, e prendersi gioco del mondo ed esserne giocati anche un po’, sotto scacco, perché ad Hamm, il re, spetterebbe l’ultima mossa (Tocca a me, è la prima battuta che Hamm dice) ma restano fermi, uno la condanna dell’altro”.
Andrea Baracco
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Prima nazionale
Roma Teatro Eliseo 26 settembre 2017
Durata: 1 ora e 20 minuti (atto unico)
Martedì 10 ottobre alle ore 18.00, prima della replica serale, Glauco Mauri e Giuseppe Di Giacomo incontreranno il pubblico sul tema ‘Introduzione a Beckett’ (ingresso gratuito).
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TEATRO ELISEO
Da martedì 26 settembre a domenica 15 ottobre 2017
Orario spettacoli:
martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00
Primo sabato di programmazione doppio spettacolo ore 16.00 e ore 20.00
mercoledì e domenica ore 17.00
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Biglietteria tel. 06.83510216
Giorni e orari: lun. 13 – 19, da martedì a sab 10.00 – 19.00, dom 10 – 17
Via Nazionale 183 – 00184 Roma
Biglietteria on-line www.teatroeliseo.com e www.vivaticket.it
Call center Vivaticket: 892234
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Prezzi da 20 € a 40 €
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Finale di partita
di Samuel Beckett
Con
Glauco Mauri | Roberto Sturno
e con Elisa Di Eusanio |Mauro Mandolini
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche Giacomo Vezzani
Regia Andrea Baracco
Produzione Compagnia Glauco Mauri Roberto Sturno