Come tutti gli “stravolgimenti” anche questo Tamerlano re-immaginato da Davide Livermore funziona, ma solo fino a un certo punto.
La tesi del regista, dichiarata nelle note di regia, è questa: “L’antistoria è il giuoco teatrale tipico dei libretti di questo tempo [Di Handel], in cui Giulio Cesare, Tamerlano, Agrippina, Nerone, Cleopatra, e via via tutti gli altri personaggi dell’opera di quel tempo, godevano di un trattamento drammaturgico che poco o nulla aveva a che che fare con precisi fondamenti storico-scientifici. Si usava il palinsesto delle loro vicende umane per creare teatro”.
Quindi il regista decide di ambientare la vicenda durante la rivoluzione russa del 1917, fondando questo spostamento storico “sullo stesso meccanismo antistorico tipico del tempo di Handel: usare personaggi e vicende conosciute per fare teatro, muovere l’azione e muovere l’anima”.
Il problema, però, è proprio che questo tetro, seppur magnifico e interessante allestimento, riesce difficilmente a “muovere l’anima”, ma piuttosto diventa uno studio – certo ben riuscito – della componente più teatrale dell’opera, costruendo uno scenario di gusto moderno che però non riesce ad aderire del tutto alla partitura e al libretto originali, creando delle discrasie evidenti.
Anzitutto, ci risulta difficile immaginare Stalin (Tamerlano) che canta d’amore accompagnato da un’orchestra barocca, così come la personalità di Lenin (Andronico) non aderisce del tutto a quella del re greco che si batte per non perdere l’amata Asteria (che dovrebbe essere forse Anastasija), tanto più ci sembrano poco assimilabili i caratteri di Bajazet e di Nicola II, l’ultimo e forse il più schivo e conservatore dei Romanov.
Ma anche volendo “dimenticare” le vicende storiche, i toni cupi di questa rappresentazione, i colori freddi delle divise dei soldati, l’atmosfera post rivoluzionaria, il grigio che domina sul palcoscenico, ci risultano davvero distanti dal gusto barocco e dai colori del contrappunto di Handel.
Ci sono però anche molti elementi interessanti: anzitutto, la visione cinematografica del regista, che rende la scena dinamica e movimentata con soluzioni mai banali. Le bellissime e monumentali scene dello stesso Livermore e di Giò Forma, con un treno a vapore che entra in scena, le proiezioni realizzate dall’agenzia di Videomakers d-Wok, che simulano il movimento del treno costruendo alberi tridimensionali grazie agli effetti del fumo e proiettano effetti visivi strabilianti.
Anche la direzione di Diego Fasolis si prende molte licenze, che senza dubbio aiutano l’omogeneità dell’insieme, ma contribuiscono a rendere il tutto ancora meno filologico, pur senza colmare la distanza tra la modernità della scena e il gusto dello spartito e del libretto.
Ma la vera nota di merito di questa produzione è il cast d’eccezione, con tre protagonisti maschili di assoluta eccezionalità e due protagoniste femminili che non arrancano affatto al fianco dei colleghi.
Che dire su Placido Domingo? Certo, i fiati non sono più quelli di un tempo, ma la presenza scenica, il timbro, il magnetismo, restano intatti. Certo, a sentirlo viene in mente più Puccini che Handel, ma il maestro spagnolo non perde un colpo: potremmo dire uno dei rarissimi casi in cui un cantante così avanti negli anni non rappresenta sul palco l’ombra dei suoi giorni di gloria, ma piuttosto mette in gioco un grande talento, re-inventandosi in forme nuove.
Il contraltista americano Bejun Mehta è un altro autentico fuori classe. Stupisce la sua capacità di mantenere le note limpide in tutti i registri, la bellezza del timbro e la capacità interpretativa. Un piacere ascoltarlo e guardarlo, nonostante i panni di Stalin.
Anche l’Andronico di Franco Fagioli è all’altezza della situazione, pur non arrivando ai livelli del collega, ci regala dei momenti di autentica delizia.
Brave anche Maria Grazia Schiavo e Marianne Crebassa, nei ruoli di Asteria e Irene.
Nel complesso, quindi, questo Tamerlano va visto, ma senza aspettarsi un’opera barocca. Piuttosto una moderna produzione sulla quale, forse, le note di Handel passano in secondo piano rispetto all’allestimento.
La recensione si riferisce alla recita del 25 settembre 2017
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Tamerlano
Opera in tre atti
Musica di Georg Friedrich Händel
Libretto di Nicola F. Haym da Agostino Piovene
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Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Direttore: Diego Fasolis
Regia: Davide Livermore
Scene: Davide Livermore e Già Forma
Costumi: Marianna Fracasso
Lighting Designer: Antonio Castro
Video: Videomakers d-Work
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Cast
Tamerlano: Bejun Mehta
Bajazet: Plácido Domingo
Asteria: Maria Grazia Schiavo
Andronico: Franco Fagioli
Irene: Marianne Crebassa
Leone: Christian Senn