È iniziato col grande teatro internazionale la nuova stagione al TAU di Cosenza.
In scena Il caso della famiglia Coleman (La omisión de la familia Coleman), nato nel 2005 dalla penna del giovane argentino Claudio Tolcachir e divenuto un classico del teatro contemporaneo, per 12 anni in cartellone, presentato in 22 paesi e 50 festival internazionali, con più di 1700 rappresentazioni e 250.000 spettatori.
L’autore conduce all’interno di una casa nella sua Buenos Aires, in un caotico microcosmo di una famiglia che vive al limite della dissoluzione.
La scena è minima, uno spazio ristretto, su cui si accatasta l’arredamento di una casa claustrofobica: un divano, uno stendino, un mobile, un tavolo e poco altro, alla rinfusa. Dai cuscini esplodono nuvole di polvere. Un salotto-accampamento aperto al pubblico, ospite di un apparente quotidianità in famiglia.
Una casa in cui ognuno è “condannato” a lottare per salvaguardare il proprio spazio vitale, in cui si ama e si odia con la stessa intensità in cui si litiga, si discute e si ride e quello che non si dice è più dannoso di quello che si dice. Come in un complicato sistema di scatole cinesi, un universo scomposto e agitato da un’energia folle e maniacale, le solitudini si incastrano ed emergono gli egoismi dei singoli, tutti responsabili di piccole crudeltà quotidiane. Eppure, in un mondo dove la violenza diventa spesso l’unica forma di comunicazione, esistono la tenerezza e l’affetto.
La famiglia Coleman è “l’assurdo e la quotidianità dell’impossibile” afferma Tolcachir, una famiglia in cui nessuno pare mantenere il ruolo che gli è stato assegnato.
Ci troviamo all’interno della quotidianità di un’abitazione qualunque, di una famiglia qualunque, siamo a Buenos Aires, ma potremmo essere in un non-luogo, in un “posto“ non meglio definito, in una Argentina straziata dalla crisi di inizio millennio.
Lo spaccato familiare e sociale di cui siamo testimoni è lontano anni luce dall’immaginario stereotipato e consolatorio di un popolo che balla il tango e beve mate ad ogni ora del giorno e della notte. I Coleman, in tuta e ciabatte, sembrano appartenere a uno scenario postbellico e popolare.
Ad ogni scena scopriamo qualcosa di più sui rapporti e sui vincoli di parentela che governano la vita di questa famiglia. Il centro gravitazionale è nonna Leonarda, che raccoglie e smorza le nevrosi di sua figlia Memè e dei quattro nipoti. Nel momento in cui la nonna viene ricoverata in ospedale per un malore, la famiglia è costretta ad uscire dal guscio del proprio salotto e a presentarsi al mondo.
Edoardo, il dottore che ha in cura la nonna, cerca di fare chiarezza sullo stato di anomalia che presentano i Coleman: Edoardo è l’unico personaggio che rientra nella “normalità”, Edoardo siamo noi, alla ricerca di risposte ad una situazione familiare in cui le regole sono sovvertite; in cui il figlio ventenne e ritardato dorme nello stesso letto della madre; in cui la figlia Gabi è l’unica a lavorare; in cui Veronica, quarta figlia di Memè, viene lasciata da piccola alla custodia del padre senza troppe spiegazioni.
Il fulcro dell’anomalia familiare è Memé che, nelle sue scelte e nei suoi accidenti, rivendica il diritto di scegliere della propria vita e di accettare la propria diversità. Da un lato una scelta di coraggio rispetto ai dettami sociali della “famiglia ideale”, dall’altro la rinuncia delle proprie responsabilità di madre, il vittimismo parassita e infantile, l’abbandono del figlio malato.
Tolcachir scava a fondo nel paradosso dei rapporti umani, tenendosi in equilibrio tra disperazione e leggerezza, aiutato da attori che, nella lunga frequentazione coi propri personaggi, restituiscono in scena la complessità dell’animo umano.
Personaggi al limite, situazioni assurde, dialoghi deliranti.
Nella prima parte il gioco consiste nel catturare gli indizi sfuggenti di una storia passata e segreta. Una volta ricomposta la foto famigliare con tutte le zone d’ombra, vedremo come si disintegra di nuovo davanti ai nostri occhi.
I Coleman sono un caso sociale e psichiatrico straripante, un lampante esempio del fallimento dell’assistenza sociale e del supporto che un sistema efficiente dovrebbe apportare a casi disperati. Quello a cui assistiamo per un’ora e mezza è una continua ricerca di spazio privato in una casa che lo nega, ponendo gli abitanti continuamente l’uno a confronto dell’altro.
In tale claustrofobia l’egoismo del singolo assume proporzioni enormi e la violenza diventa quotidiana realtà, sino ad assumere le forme della normalità. Ma dietro a questo male c’è un legame inscindibile e un profondo affetto a legarli.
I Coleman non riescono a non odiarsi ma neppure a separarsi. I figli continuano a professare una fuga che non realizzano, e quando la nonna viene ricoverata in ospedale l’intera famiglia si trasferisce là, perché quella dell’unione è l’unica organizzazione umana che conoscono.
Gli attori sono straordinariamente bravi e coinvolgenti, l’assenza del sipario è importante e in scena i personaggi entrano ed escono celandosi tra le quinte o solamente nella penombra del palco. Il ritmo è serrato, la comicità geniale, amara e a tratti infantile.
Nello spettacolo non c’è spazio per la malinconia. Un perfetto equilibrio tra dramma e humour nero, che insegue la verità sentimentale e rivelerà il meglio e il peggio di ogni personaggio e ad ogni nuovo giro della trama, i protagonisti guadagnano in complessità: la nostra simpatia passa da uno all’altro e ci tocca rivalutare qualsiasi conclusione provvisoria. Non esiste un protagonista e tanto meno un eroe. È una mostra di antieroi, una commedia verista e contemporanea.
La recitazione in lingua originale rende ancora più effettiva l’atmosfera creata (i sovratitoli conducono il pubblico alla comprensione totale).
Il testo, dal taglio forte e denso di tragica ironia, fa parte di una trilogia che comprende “Tercer cuerpo” e “El viento en un violin”, nasce dall’improvvisazione degli attori. Tolcachir ha infatti dato il via al progetto da una idea di famiglia che ha sviluppato assieme alla compagnia tra le sale del suo Timbre4 per poi passare ad una riscrittura scenica e infine alla formalizzazione a cui assistiamo oggi.
Si tratta di un progetto collettivo che arricchisce enormemente lo spettacolo e in un qualche modo parla della compagnia stessa che, a causa della carenza di finanziamenti in campo teatrale in Argentina, ha trasformato la propria casa in teatro-casa-scuola. Una cornice sgangherata nella periferia di Buenos Aires, in cui la comune di artisti ha dato vita alla genie dei Coleman.