“…ma io, un tempo signore del linguaggio, non possiedo più parole per manifestare l’angoscia e la vergogna che mi tormentano.”
Oscar Wilde, De profundis
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Il palco è spoglio: in questa opera teatrale l’unico protagonista è Oscar Wilde e la sua storia. Le varie voci della vicenda sono rappresentate da nove attori che impersonificano i diversi personaggi e interagiscono con l’unico attore che non cambia mai ruolo: il protagonista. Il testo di Moisès Kaufman, con la traduzione di Lucio De Capitani, indaga ogni sfaccettatura della vicenda dei processi a Oscar Wilde facendoci conoscere le diverse versioni dei fatti riportate dalle diverse fonti che ci sono pervenute: proprio come in ogni situazione umana le versioni sono spesso discordanti. Siamo nella Londra del 1895, dove l’ipocrita ma rigida morale vittoriana prevede una legge contro gli “atti innaturali”, che puniva fino a due anni di lavori forzati chi commettesse “atti osceni”, come veniva chiamata l’omosessualità con un eufemismo del tempo: è certo che raramente la legge veniva applicata, quasi mai nel caso di personaggi di rilievo. È certo anche che a Oscar Wilde venne dato il tempo per avere la possibilità di lasciare il paese e riparare magari in Francia: ma l’autore si rifiutò e decise di pagare fino in fondo la sua condanna, che fu massima. Assistendo, inermi, al processo, vediamo nei 140 minuti di durata dello spettacolo la caduta di un genio, vittima della società che lo ammirava ma allo stesso tempo non riusciva a capirlo: la trasgressione dell’artista non poteva non suscitare quantomeno turbamento nei benpensanti dell’epoca. Vediamo all’inizio dei processi un Wilde sicuro di sé, che per amore di Bosie accusa il sanguigno e rozzo marchese di Queensberry, certo (forse) della sua vittoria, tuttavia la vicenda prende una piega imprevista che determinerà la sua rovina: un abile avvocato ribalterà l’accusa provando quella che in effetti è la verità, ovvero che per quanto paranoico e sgradevole il marchese effettivamente non mente. Viene così processato l’artista, anzi l’arte: le opere di Wilde, in particolare “Il ritratto di Dorian Gray” vengono analizzate con pedanza e decontestualizzate per trovare elementi di amoralità, operazione non certo difficile vista la totale innovatività dell’opera e la sua non appartenenza ai consueti canoni letterari fino ad allora conosciuti. Wilde all’inizio ribatte con arguzia, è sprezzante, ironico nei confronti di chi l’arte non la capisce e sarà forse questo atteggiamento a decretare poi la vendetta della società, che lo sente troppo diverso e per questo lo vuole annientare. Con il secondo e il terzo processo possiamo vedere rappresentata l’umiliazione di un uomo, che abbandona la corazza di ironia che lo proteggeva e si mostra per quello che è: un genio, inerme, stanco, incompreso e rovinato da un amore per cui ha sacrificato troppo. Le accuse continuano, vengono pagati dei testimoni, l’opinione pubblica è scandalizzata e nell’aula di tribunale si raschia nei meandri più intimi della vita dell’autore. Oscar Wilde, un uomo colto, elegante, raffinato, apprezzato in società si ritrova nell’umiliazione, nauseato dalle accuse che continuano ormai a fioccare e inerme davanti alla condanna: i muri del tribunale diventano man mano una gabbia e i suoi muri finiranno a soffocare l’artista. Tutti i beni di Oscar Wilde vengono confiscati, la società gli chiude tutte le porte in faccia, sua moglie e i figli sono costretti a cambiare nome. Wilde decide tuttavia di non scappare, di scontare fino alla fine la sua pena, continuando a pensare, malgrado tutto, che “un giorno vi vergognerete di tutto questo” come scrive nel De profundis, l’opera scritta in forma di lunga lettera a Bosie dove narra i suoi pensieri direttamente dalle profondità più oscure dove è caduto. Oscar Wilde non vivrà a lungo dopo aver scontato la sua pena, che decretò la sua morte fisica e civile, in un estremo sacrificio dove non fu condannato solo l’uomo, ma anche l’arte, il genio e la libertà di espressione.
Lo spettatore non deve spaventarsi a causa della lunghezza dello spettacolo, perché la storia si impadronirà di lui. Il testo di Moisés Kaufman con traduzione Lucio De Capitani riesce a emozionare mescolando sapientemente la prosa con fonti originali dell’epoca, in un lavoro interessante ben riuscito, grazie inoltre alla magistrale regia e alle scene di Ferdinando Bruni che sanno colpire le corde emozionali dello spettatore e grazie anche ai costumi sempre di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, all’assistente alla regia Giovanna Guida e all’assistente ai costumi Saverio Assumma, alle luci di Nando Frigerio e al suono di Giuseppe Marzoli. Gli attori Nicola Stravalaci, Riccardo Buffonini, Giuseppe Lanino, Edoardo Chiabolotti, Giusto Cucchiarini, Ludovico D’Agostino e Filippo Quezel sono davvero bravissimi in ogni loro ruolo, Ciro Masella sorprende con la sua poliedricità e Giovanni Franzoni è un Oscar Wilde che emoziona con la sua grande umanità e fragilità.
Un’opera che fa riflettere sulla storia, sul genio, sulla letteratura, sull’arte, sulla giustizia, sull’autenticità: si staglia su ogni cosa il ricordo di Oscar Wilde. Uno spettacolo assolutamente imperdibile.
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di Moisés Kaufman
traduzione Lucio De Capitani
regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia assistente alla regia Giovanna Guida
assistente ai costumi Saverio Assumma
con Giovanni Franzoni, Ciro Masella, Nicola Stravalaci, Riccardo Buffonini, Giuseppe Lanino, Edoardo Chiabolotti, Giusto Cucchiarini, Ludovico D’Agostino, Filippo Quezel
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell’Elfo
di Moisés Kaufman
traduzione Lucio De Capitani
regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia assistente alla regia Giovanna Guida
assistente ai costumi Saverio Assumma
con Giovanni Franzoni, Ciro Masella, Nicola Stravalaci, Riccardo Buffonini, Giuseppe Lanino, Edoardo Chiabolotti, Giusto Cucchiarini, Ludovico D’Agostino, Filippo Quezel
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell’Elfo