Tutti conoscono la Bruna, tutti parlano di lei. La Bruna è vecchia, c’ha il naso grosso e il culo grasso. È irriverente, a volte sboccata, e canta solo quello che piace a lei. Sceglie, ora che può. E non sceglie mai la banalità, perché ha imparato a non dare niente per scontato, va a pescare, invece, canzoni senza successo ma piene di significato, di “sugo”. Non avrà per voi parole carine, ma, se la saprete ascoltare, vi racconterà la sua storia. Tra un goccetto e una sigaretta, vi dirà del suo passato, delle persone che ha conosciuto, della vita che ha vissuto, sempre di notte. Era notte quando cantava nei locali della Versilia, era notte quando faceva l’amore anche se non voleva. Una vita al buio, vi lascio immaginare gli inciampi – e le madonne -, una vita su cui fa luce piano piano, permettendo anche al pubblico di affacciarvisi. Forse non si inciampa nemmeno al buio, se qualcuno ci fa luce. Alla Bruna avevano promesso una torcia, ma mica gliel’hanno mai data. Sicché è rimasta al buio, arrangiandosi con le candele che aveva a disposizione: la musica, la poesia, i ricordi. I testi di Endrigo, le strofe della Merini, la foto della sua amica Maria, uno dopo l’altro, a ruota libera, nella sua mente e nel microfono. Un’imprecazione e un verso, le parole sembrano uscirle tutte dallo stomaco, senza controllo, figlie della stessa verità. Tutti amano la Bruna, anche chi la critica, e non potrebbe essere altrimenti. Alessandro Riccio costruisce un altro personaggio con cui si prende subito confidenza e di cui non si è mai sazi. A fianco a lui Alberto Becucci nei panni di Franchino, che accompagna la Bruna con pianola, fisarmonica, chitarra e pacata razionalità. Invano, si capisce, ma creando una contrapposizione di caratteri fonte di fragorose risate in sala. La Bruna diverte e affeziona, con la sua brusca aria nostalgica e la sua – nonostante tutto – lucida visione della realtà. I costumi di Daniela Ortolani e il trucco di Danilo Carignola per CreaFX rifiniscono mirabilmente la straordinaria trasformazione di Riccio. Dalla voce, all’andatura, passando per i più piccoli gesti, l’attore fiorentino è protagonista dell’ennesima metamorfosi di cui non smettiamo di stupirci. La cura dei dettagli è dimostrata dalle movenze delle mani, un gesticolare tanto naturale e fine che viene da chiedersi come possano essere, quelle, le stesse mani di Malagigio o di Stefanino di H come amore. E poi, i tempi. Un uso magistrale delle pause e dei silenzi, delle note e delle parolacce, ognuno col suo obiettivo di far restare lo spettatore col groppo alla gola o di liberarlo in una risata intrattenibile. La chiusura senza tanti fronzoli, in stile Bruna. Arrivederci e grazie. Arrivederci, Riccio, e grazie di cuore.