Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
di Marco Paolini e Gianfranco Bettin
con Marco Paolini
tavole illustrate Roberto Abbiati
musiche originali Stefano Nanni
audiovisivi e luci Michele Mescalchin
fonica Tiziano Vecchiato
voci campionate di Beatrice Gallo, Emanuele Wiltsch
produzione Michela Signori, Jolefilm
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Domenica pomeriggio ore 16 ultima replica dello spettacolo di apertura della stagione 2017-2018. Solitamente presenzio alle “prime” ma quest’oggi sono in platea placidamente ‘contenuta’ nel variopinto pubblico della pomeridiana, che non brilla assolutamente per la presenza di “giovanissimi” ma con piacere noto una equanime distribuzione tra i sessi. È folto il pubblico, non pienissimo il teatro ma anche il tempo ha ragione di ciò.
Il sipario è aperto: il grande palcoscenico è vuoto tranne che per un elemento. Un sasso, neanche tanto grande, occupa il centro e dall’alto cade ritmicamente una goccia d’acqua con sequenza irregolare. Può sembrare un paradosso ma a teatro, si sa, tutto è possibile. Entra l’interprete unico e solo, e si fa innanzi. Sa di essere molto amato dal pubblico del Rossetti. Scatta l’applauso! Ben meritato d’altronde per tutto ciò che Marco Paolini ha regalato al pubblico finora. E non a caso, qui, apre la stagione. Quasi tutti i suoi spettacoli sono stati applauditi a Trieste, a partire da “Il racconto del Vajont” presentato dallo Stabile con straordinario successo nel 1996, per poi passare al teatro civile di “Racconto per Ustica” e “Parlamento chimico”, agli entusiasmanti “Il Milione” e “Bestiario Veneto”, alle indagini di ampio respiro di “Miserabili”, “Itis Galileo”, “Il Sergente”, ”Ballata di uomini e cani”, fino all’affascinante operazione di “Amleto a Gerusalemme”… Ora, per il suo nuovo monologo, “Le avventure di Numero Primo” Marco Paolini cambia prospettiva: dal passato al futuro: la fantascienza a teatro.
Ed anche stasera il pubblico partecipa all’evento del grande teatro di narrazione e applaude il talento di uno straordinario artista, autore, attore, e prezioso amico del Teatro Stabile: Marco Paolini.
Si comincia quindi con un applauso di fiducia.
E con un prologo in versi la favola ha inizio.
Di tanto in tanto sul fondo appaiono delle immagini disegnate con tratto di elementare semplicità.
Siamo nel futuro, un futuro immaginato con l’occhio rivolto alla galleria di immagini cinematografiche, di quelle più grigie e deprimenti.
Una relazione ambigua e morbosa, patologicamente destabilizzante ma al contempo confortevole per la mancanza di responsabilizzazione… e proprio qui che casca l’asino, anzi dovremmo dire la capra (uno dei personaggi della storia, ordinata e comprata al computer, stampata in 3D e regolarmente recapitata e magicamente diventata “vera”, sempreché l’aggettivo “ vero” abbia ancora un significante di realtà)…
Una voce sensuale, attraverso l’arida tastiera di un computer, ipnoticamente costringe Ettore Achille ( ambiguità dichiarata nel non voler scegliere un preciso campo di schieramento) a diventare padre, desiderio, fra l’altro, già baluginato nel suo immaginario. Un bigliettino, un’annotazione, lasciata sul computer prima di partire per l’ultima missione professionale, gli ricordava un obiettivo fondamentale: Diventerò padre.
Ed ecco che un fanciullo tecnologico irrompe nella vita di un maturo fotoreporter di guerra, Ettore Achille interpretato da Paolini.
Ma non c’è amore! Come può bambino nascere senza amore? È questo che ci riserva il futuro?
Chi è Numero Primo? «È il nome che uno strano bambino, Nicola, ha scelto per sé. Ha cinque anni, è stato desiderato e progettato da una madre scienziata («Echnè Fermat, si chiamava. Un nome forse greco, un cognome forse francese… Laurea in Biologia e Medicina»), ma concepito e messo al mondo da un’intelligenza artificiale evolutissima, tanto da aver sviluppato una coscienza».
La fiaba di quest’incontro, tra un figlio androide e un papà che non si aspettava più di poter diventare tale, afferma l’umanità di un rapporto umano sempre uguale a se stesso nonostante – spiega Paolini – la pervasività della tecnologia sulle nostre vite quotidiane. Con Bettin siamo partiti da alcune domande: qual è il rapporto che abbiamo con l’evoluzione delle tecnologie, e quanto tempo occupano della nostra vita? Quanto è sottile il confine tra intelligenza biologica e intelligenza artificiale?
La tecnologia –continua – sta appropriandosi di spazi che prima appartenevano alla sfera sociale, politica, privata, educativa, alla famiglia. Oggi, di tecnologie, i figli ne sanno più dei padri.
Lo spettacolo fila via liscio come l’olio, nonostante qualche colpo di tosse all’inizio che faceva temere per la prova d’attore che poi si è rivelata all’altezza delle promesse. Marco Paolini si conferma grande affabulatore, che sa strizzare l’occhio al suo pubblico facendolo anche divertire con battute legate al territorio. E qualche frase in dialetto fa germogliare i semi della complicità che da sempre lo spettatore cerca con il suo beniamino.
Forse manca qualcosa, un indefinibile nonsoché lascia un senso di insoddisfazione… Il pathos, l’emozione, il vibrante senso di partecipazione… rimangono a mezz’aria… senza pervadere la platea.
Ma d’altronde si parla di tecnologia e come può la tecnologia emozionare?
Il senso criptico si nasconde forse nelle ultime battute “La tecnologia promessa o speranza ?”
E poi, ancora dopo gli scroscianti applausi, Marco Paolini continua in scena “Vi trattengo ancora solo tre minuti… Da uno a dieci come state messi a tecnologia? Non ditelo a me, ma rispondete dentro di voi”.
E sicuramente l’esortazione ha sortito l’effetto desiderato, a sentire le voci che serpeggiavano all’uscita mentre il pubblico guardava stupito il temporale abbattutosi violentemente sulla città. Bora nera su Trieste.
Natura e tecnologia quale relazione ci riserva il futuro?