È pop e colorato, frizzante e godibilissimo, concreto e riuscitissimo esempio di come la tradizione possa incontrare la modernità tecnologica: è il Fra Diavolo di Daniel-François Auber, praticamente una prima assoluta per il pubblico moderno del Teatro dell’Opera di Roma dove si era visto più di 100 anni fa (era il 1884) che Giorgio Barberio Corsetti manipola felicemente in un allestimento dal sapore e dai colori a cavallo fra gli Anni Cinquanta e Sessanta seppur squisitamente atemporale con tanto di tocchi da neorealismo rosa (con gli immancabili carabinieri in divisa) e con le scene stampate per la prima volta in 3D.
Al centro del libretto di Scribe, le rocambolesche e romanzate avventure del brigante Fra Diavolo, al secolo Michele Pezza, che imperversava in zona Terracina: ma siamo in piena Opéra-comique del 1830 e non mancano mai seduzioni, malizie e allusioni seppure stemperate, ma sempre intuibili nella storia amorosa fra Lorenzo e Zerlina e nei tentativi di raggiro e furto ai danni dei coniugi inglesi.
L’allestimento in scena al Costanzi (fino al 21 ottobre) e realizzato in collaborazione con il Teatro Massimo di Palermo nelle felicissime intuizioni di Barberio Corsetti lascia anche capire lo straordinario successo del Fra Diavolo nello scorso secolo tanto da ispirare la celeberrima parodia dell’omonima pellicola di Stanlio e Ollio impegnati nei ruoli dei servitori Beppo e Giacomo.
Barberio Corsetti però non esagera mai: fedele danni alla regia con calibrato uso di video (di Igor Renzetti, Alessandra Solimene, Lorenzo Brunoe) e proiezioni (realizzati con la factory Officine K) è sempre attento nell’offrire una visione deformata, ma attuale della realtà, straniata, ma non troppo regalando tocchi preziosi e riferimenti felici che amplificano le emozioni dei personaggi (le proiezioni di fiori e cuori palpitanti quando Zerlina dichiara il suo amore a Lorenzo ad esempio), ma senza invadere mai la scena saturandola irrazionalmente o invadere e travalicare l‘umanità dei personaggi sempre perfettamente rispettati.
Il primo atto è vivacissimo, un’invenzione dopo l’altra, il secondo atto, in stile nozze mozartiane, è totalmente unitario, e si svolge all’interno delle stanze della locanda fra equivoci e tradimenti, il terzo atto alterna i lenzuoli stesi alle proiezioni video della città alle luminarie della festa con una Madonna un po’ laica e un po’ eversiva con i capelli castani e fuori dal velo.
Vivacissima la direzione musicale di Rory Macdonald (allievo di Antonio Pappano) al debutto all’Opera in una partitura in acceso stile rossiniano e a Roma proposta in una versione inedita (francese, ma con la musica dei recitativi composta per la versione italiana e con i recitativi poi tradotti in francese). Eccellente il cast capitanato dal John Osborn (già Benvenuto Cellini), una certezza scenica e vocale nel ruolo di mefistofelico Fra Diavolo, brillantissimi Sonia Ganassi (Lady Pamela) e Roberto De Candia (Lord Rocburg), bravissimi Giorgio Misseri (Lorenzo) e Maria Aleida (ch si è alternata con Anna Maria Sarra come Zerlina), centrati Alessio Verna (Matteo), Nicola Pamio (Beppo), Jean Luc Ballestra (Giacomo). Balletti non indispensabili di Roberto Zappalà con i danzatori che si fanno spazio fra il cast in abiti anni 50 e 60 (di Francesco Esposito) drammaturgia di tanto in tanto poco approfondita che si conclude con la frettolosa morte di Fra Diavolo trucidato in mezzo alla piazza per un’allestimento veramente riuscito e molto divertente.